Cheap Wine Moving
2004 - CHEAP WINE / VENUS
I Cheap Wine lo hanno preso a titolo del loro nuovo disco: nessuno ne ha maggior diritto di loro, almeno in Italia, visto come ne incarnano ogni senso, a partire dai personaggi delle loro canzoni, sempre al limite della legalità e della normalità, e perciò sempre in fuga.
“Moving” si riallaccia al precedente “Crime stories” per le tematiche narrative e sonore, costituendone un nuovo capitolo, ancora più saldo e profondo. Nel caso vi siate perso gli episodi precedenti, il consiglio è quello di ricorrere all’acquisto direttamente dal sito della band (www.cheapwine.net) per meglio cogliere la portata di questo album.
I fratelli Diamantini proseguono la loro storia indipendentemente dall’ambiente in cui si trovano, anzi, “Moving” potrebbe essere inteso anche come una reazione di fronte all’appiattimento che il rock sta subendo.
Ancora più che in “Crime stories” i Cheap Wine suonano ignorando il regime di libertà vigilata concesso in un disco: la durata dei brani supera ampiamente la media, sfiorando anche i nove minuti e soprattutto inseguendo ostinatamente un ideale live. Oltre alle consuete scorribande elettriche, in bilico tra Paisley Underground e hard-rock, che sono il marchio di fabbrica della band, c’è una dilatazione strumentale, che dà nuova forza al suono e che lo fa se possibile avanzare rispetto a quanto fatto in precedenza.
Pur essendo un pezzo acustico, già l’iniziale “I can fly away” è indice di una tensione liberatoria: il rimando alla West Coast dei Jefferson Airplane e dei Grateful Dead sfocia in un ritmo finale che ha il battito degli Who, ma è solo un segnale di quanto verrà poi sviluppato all’interno del disco.
A livello narrativo, Bonnie & Clyde e Dean Moriarty sono le facce più identificabili tra i fuggitivi di cui vive “Moving”. All’identikit corrisponde anche una cover di “One more cup of coffee”, con la slide di Michele e la voce di Marco, che lasciano intravedere la sagoma di Dylan solo in lontanza, per poi cancellarne con furia qualunque traccia con “Shakin’ the cage”.
I Cheap Wine si muovono come cavalli allo stato brado, guidati da un istinto rock che vale più di una coscienza: si permettono code strumentali, che non sono jam, ma parte organica e necessaria dei pezzi, con l’armonica usata spesso come voce solista in risposta alla chitarra elettrica. Michele Diamantini ha poi sviluppato un fiuto per un chitarrismo sanguigno, teso e assetato come un blues, mai abbagliato da miraggi o da futili obiettivi.
“Move along” e “Snakes” sono due esempi di come i Cheap Wine sappiano marchiare a fuoco il rock, caricandolo di forza senza mai lasciarlo in balia di se stesso. Nei pezzi tirati e soprattutto nelle ballate si respirano un’atmosfera da borderline, un’aria di confine, un brivido di ignoto, che richiedono la massima allerta: “Moving” è un disco su cui ogni appassionato di rock dovrebbe mettere una taglia.