Cheap Wine Freak show
2007 - Cheap Wine / Venus
Con un suono spietato si sono guadagnati la stima degli appassionati e la nostra copertina di questo febbraio 2007: i loro dischi sono esempio di coerenza e di evoluzione, di una proposta che avanza e cresce senza cedere a compromessi.
Ulteriore conferma viene appunto da “Freak show” che non sarà coeso come “Crime stories” e “Moving”, ma è comunque un lavoro tutto d’un pezzo: se dal punto di vista narrativo i precedenti erano strutturati sui concetti di crimine e di viaggio, qui le canzoni focalizzano sulla follia umana, chiudendo e aprendo contemporaneamente il cerchio di quel “dark side” che la band continua ad esplorare.
I testi si spalancano verso l’esterno puntando il dito rabbiosi contro figure e comportamenti che infettano il sistema umano. Allo stesso modo anche le canzoni allargano lo spettro sonoro della band: il rock desertico e abrasivo è stavolta scosso da un tiro che sembra provenire dal r&r anni ’70 o dal punk scorticato di inizio anni ‘80. I Cheap Wine bruciano ovviamente tutto alla loro maniera con una veemenza che si fa sentire sin dall’iniziale “Dance over troubles”: “can’t you hear that rockin’ sound?”.
I suoni sono aperti e l’impatto è aumentato dall’intervento delle vocals che rendono la presa di coscienza corale e feroce: esemplare è la forza soul che rende “Time for action” un invito a reagire. Anche le ballate sono più piene del solito grazie all’apporto di Alessandro Castriota: le sue keyboards si insinuano sotto la tensione di “Nothing left to say”, forse il pezzo migliore del disco, mentre un organo corre lungo “Jugglers and suckers”.
Il disco è acido e teso, solo nove pezzi, ma non c’è bisogno d’altro.
La forza interiore e sotterranea dell’underground prorompe frontale (“Exploding underground”) arrivando ad alzarsi in piedi nella title-track che è il vero manifesto dell’album: Marco Diamantini mette in fila i pagliacci, i banditori e le bestie che affollano il bieco spettacolo del sistema (quello musicale? Quello italiano? O quello umano in generale?), mentre le chitarre e la ritmica rispondono con l’intenzione di far piazza pulita. Un altro marchio di fabbrica è “Evil ghost”, ballata conclusiva che stavolta sfuma su fantasmi di guerre e invasioni quanto mai attuali, allungati da tocchi di piano, vocals, organo e armonica.
Attenzione a non perdere il “Freak show” dal vivo: promette di essere uno spettacolo molto rock e molto diverso dagli eventi publicizzati dai grandi media.