Van Morrison The Prophet Speaks
2018 - Caroline
Sam Cooke, Solomon Burke, John Lee Hooker, JD Harris, Willie Dixon, Muddy Waters, etc...tutte e otto le cover del disco (più sei originali morrisoniani) sono interpretate con indubbia passione e il gusto che lo ha sempre contraddistinto, anche stavolta aiutato dal fenomenale organista (e polistrumentista, scelto ai tempi da Miles Davis) Joey DeFrancesco e dalla sua valorosa band. Blues, jazz, soul, accenni gospel, le influenze primarie di Van hanno una palese matrice black ma da sole non possono rappresentare l'arte maggiore per cui l'irlandese verrà ricordato, che ovviamente comprende quegli elementi folk non certo secondari, assimilati al tempo, da icone come Lead Belly, Hank Williams o Bob Dylan, ma che in questi ultimi quattro dischi sono usati davvero col contagocce pur rappresentando, non a caso, la parte più emozionante e personale. Quindi, questa sequenza impressionante di materiale blues-jazz, così compressa in soli due anni, sembra abbondare fin troppo, le cover in particolare seppur sempre personali, sfigurano un po' se confrontate al materiale dell'ultimo vero album di inediti (lo splendido Keep Me Singing) e a certi pezzi di chiara fattezza morrisoniana che riescono ancora a giustificare l'acquisto di ogni sua recente uscita discografica.
Intendiamoci, il materiale blues e l'ascolto è tutto di primo livello, la band di Joey DeFrancesco gira alla grande, ma Van (con tutto il rispetto non solo riguardo Van ma anche nei confronti di qualsiasi musicista bianco) non è Muddy Waters o John Lee Hooker, e se Roll With The Puches, il primo disco della serie, aveva ovviamente, da questo punto di vista, qualcosa di più urgente e selezionato da dire e offrire, non è difficile capire che il buon The Prophet Speaks non potrà avere spazio tra i dischi migliori della sua sterminata discografia.
Comunque, poco importa se Van ci ricorda che la sua Precious Time (da Back On Top) è stata partorita pensando al gospel blues di Gotta Get You Off My Mind di Solomon Burke, o che la contagiosa verve r&b del nuovo originale gospel-blues Got to Go Where the Love Is (sempre mirato alla conversione mente-cuore) sia la versione aggiornata di Ain't Nothing You Can Do, il classico di Bobby “Blue” Bland, i momenti salienti del disco riescono a regalarci comunque la consueta grazia musicale, nuovi spunti filosofici e la convinzione di avere davanti sempre lo stesso artista, unico e fedele a se stesso, come sempre.
L'unica delusione effettiva è quella che i quattro singoli che hanno preceduto l'uscita dell'album sono realmente gli episodi migliori del disco, tutti scritti da Van.
Tra questi il miglior blues del lavoro, ovvero la magnetica Ain't Gonna Moan No More, dove Van cita le sue influenze musicali in un testo che sembra lasciarsi dietro un passato tormentato; poi la suggestiva title track che nelle liriche ci racconta di un profeta che parla ma che non viene ascoltato, solo coloro che hanno “orecchie addestrate” lo possono ascoltare e comprendere. Splendido blues atmosferico molto jazzato, impreziosito da un tocco folk basato su arpeggi acustici di chitarra vagamente spagnoleggianti e caratterizzato da chiari riferimenti spirituali che incitano ognuno di noi a scorgere le nobili verità del vivere, di “ottenere più dettagli” per oltrepassare l'inganno delle facili apparenze. Brano arrangiato con i controfiocchi con assoli splendidi di tromba e armonica a chiudere.
Ma il brano più bello di Prophet Speaks, sempre sugli stessi temi della title track, come spesso succede nei suoi dischi, nasce dai ritmi del cuore (stavolta col passo vagamente reggae) e della ballata; Spirit Will Provide è l'ennesimo capitolo che segna l'ennesima grandezza compositiva e interpretativa, proveniente da un lungo percorso, mai improvvisato, frutto delle sue continue esperienze culturali e personali. La voce di Van riesce sempre ad incantare, quella di Shana scalda il refrain e l’assolo di piano agisce leggero sull'animo come foglie d'autunno, in appena quattro minuti Spirit Will Provide condensa la sempre più essenziale filosofia spirituale morrisoniana e lo fa, musicalmente, con una semplicità che suona assolutamente fresca e rasserenante; il testo, un po' come nella preziosa e terapeutica Transformation (dall'ottimo RWTP), annuncia che, solo cambiando il nostro pensiero e di conseguenza la nostra mente, nobilitando e orientando umanamente la nostra vita, il nostro spirito ci offrirà la serenità a cui tutti aspiriamo. Che dire, un pensiero filosofico mai scontato che ci piace accogliere e soprattutto “ascoltare”.
Detto questo, nonostante tante cover di blues tradizionale, vista tanta assiduità di tematiche e messaggi, se l'album si fosse intitolato 'The Prophet Sings' penso che nessuno avrebbe obiettato.
Grazie ancora Van e alla prossima (vista la prolificità attuale, per fortuna, non dovrebbe essere poi cosi lontana).