Van Morrison Keep Me Singing
2016 - Caroline International S&D
#Van Morrison#Rock Internazionale#Songwriting #chamber folk #Pop rock #Jazz
Ebbene il dolore sembra portare con se elementi di mistero, come se potesse far uscire dalle persone qualcosa di veramente positivo, di vero, di spiritualmente energico. Infatti, dopo la celebrazione divertita e godibile di Duets, il nuovo Keep Me Singing si rivela, fin dalle prime note, come un lavoro di spessore “diverso” nel percorso morrisoniano del nuovo millennio; “diverso” vuol dire che per trovare una manciata di brani così belli bisogna perlomeno tornare a Down The Road del 2002, mentre per trovare una media qualitativa similare bisogna arretrare ancora (a Back On Top o addirittura a Healing Game). Già dai primi minuti del limitato preascolto durante la sua intervista alla BBC, un po’ di giorni prima dell’uscita del disco, si intuisce quest’ispirazione ritrovata. Nostalgica e struggente, è Memory Lane il primo pezzo trasmesso che colpisce a fondo: una finezza melodica degna di un traditional irlandese, il canto emozionale di Van è ben sostenuto da una celestiale serie di arpeggi acustici e gli archi a incorniciare (non so dove sono, non so che ne sarà di me, sono ancora bloccato qui, sul sentiero della memoria), un nuovo classico per cuori nobili e compassionevoli.
Il nuovo disco non cambia comunque le carte in tavola, ovvero le liriche e i temi rimangono quelli di sempre (naturalismo romantico, ricordi impressionistici, ricerca spirituale, leggende e tradizioni celtiche), quelli che Van rincorre incessantemente dall’inizio della sua carriera solista: parole, frasi, nomi, atmosfere, come fossero una fede, un rituale da ripetere all’infinito, magari da riciclare nei particolari ma mai nella sostanza poetica. A livello interpretativo il burbero irlandese (approfondendo il personaggio in realtà ha dei lati assolutamente amabili, come tutti i burberi del resto) rimane a grandi livelli, la sua espressività vocale continua a sorprendere, le sfumature della sua voce sono quelle risapute dell’uomo (The Man), una sensibilità interpretativa unica ancora capace di affrontare ogni stato d’animo in modo sontuoso. Ma alla fine la vera differenza la fa l’aspetto compositivo e in questo aspetto Keep Me Singing fa un notevole balzo in avanti, lo fa soprattutto perché ha con se almeno 5-6 pezzi di livello superiore, quei pezzi che mancavano agli ultimi album di inediti. La produzione è affidata allo stesso Van, ed è una vera sorpresa in positivo, i musicisti sono di grande livello, oltre alla sua band live, si aggiungono il prezioso ritorno di Kate St John (corno inglese), dei chitarristi Nigel Price e Johnny Scott (buon contributo nel pregiato contesto folk del disco), ma soprattutto l’importante ritorno degli archi, forse mirabilmente curati come mai fino ad adesso, da Fiachra Trench (di rilievo il suo contributo ad album come Avalon Sunset o Enlightenment).
Tra i brani migliori, la splendida title track, talmente autobiografica da far pensare, vista la tematica, all’importante filo conduttore (il canto) che lo ha sempre legato alla madre da poco scomparsa, è un folk rock limpido con assolo di armonica e un ritornello perfetto, Van in grande forma vocale; per costruzione musicale sembra riportarci ai primi anni ottanta (a brani come Tore Down a la Rimbaud o album come Beautiful Vision).
Il potere lenitivo della musica morrisoniana, che fin da Astral Weeks ha regalato momenti di vera guarigione spirituale, che era quasi assente sul precedente Born To Sing, forse il suo disco più “freddo”, qui invece risorge in tutto il suo splendore, l’anima di Van è tornata a dare sollievo alle nostre ansie, in questo senso la ballata di Holy Guardian Angel è la meraviglia che in molti stavamo aspettando da tanto tempo, un pezzo dai fraseggi folk inquieti e sofferti (nessuno conosce le difficoltà che ho passato, nessuno conosce il mio dolore, nessuno tranne me) che poi vengono redenti, spazzati via da un sublime ritornello con coro gospel, liberatorio e salvifico. In realtà la genesi del ritornello non è recente, circa due anni fa ebbi la fortuna di ascoltarla dal vivo in Inghilterra (nello scenario indimenticabile dell’Hampton Court Palace) come coda finale di una splendida versione di In The Garden (di cui HGA non a caso sembra la diretta e degna discendente). Ciliegina sulla torta: bellissimo l’assolo di chitarra del mitico John Platania in mezzo al brano.
I respiri impressionisti vivono invece nella lunga magnifica passeggiata astrale di Out in the Cold Again, una dilatata blues jam ballad che sembra orchestrata dalla mente magica di Gershwin, che riesce a trasportarti pian piano dentro il pezzo, in quella fredda scura notte, nel bel mezzo del pezzo più lungo e finemente costruito del disco, sette minuti in cui ci sentiamo persi in un incanto, estraniati dal mondo. Ma la grande musica non finisce qui: In Tiburon, uno dei pezzi da podio del disco, l’ennesimo omaggio alla Bay Area di San Francisco, evoca un luogo incantevole dove i ricordi si susseguono, citando alcuni suoi poeti preferiti (kerouac, Ginsberg, Neal Cassady, Gregory Corso) il compositore Vince Guaraldi e in modo ripetuto il grande trombettista Chet Baker (con cui ha collaborato); brano folk acustico con piano in evidenza, un sensibilissimo flusso di coscienza per anime gentili e poeti romantici, con variazioni melodiche raffinatissime. Stupenda.
L’interessantissimo groove melodico e jazzato di Everytime Time I See a River con le liriche affidate allo scrittore inglese Don Black, ha suggestivi ricami di tromba dai rimandi davisiani (Davis era un pallino di Van, dovevano collaborare per un progetto ma sfumò tutto per la morte del grande trombettista) e momenti tipici della caratteristica e creativa scioltezza vocale morrisoniana. Si mantengono di livello anche l’iniziale Let It Rhyme che si muove tra armonica, slide guitar e archi, il blues dirompente di Going Down To Bangor che rompe l’atmosfera in modo salutare e il delizioso singolo Too Late, che difficilmente ti esce di testa.
Di contro, i riempitivi sono veramente pochi, ovvero il blues cadenzato di The Pen Is Mighter Than The Sword, il pop jazz di Look Beyond The Hill e l’onesto strumentale finale Caledonia Swing. L’unica cover, il classico di Bobby Bland Share Your Love With Me è interpretata benissimo ma nel complesso sembra non trovi il giusto amalgama con i brani originali e l’atmosfera del disco.
Questo disco per Sir Van Morrison è un ritorno ispirato alla forma cantautorale, alla poetica, al suo mondo geniale e musicalmente “totale”, intriso di nostalgico, mistico romanticismo.
Van è tornato a far lievitare la nostra anima, ad emanare tangibile calore umano, come solo un bluesman d’adozione come lui può fare. In questo mondo spesso deludente, povero di spirito e di umanità, Keep Me Singing, nella sua misteriosa, bivalente dimensione spirituale e terrena, ci offre spunti di rara bellezza e quella dimensione artistica così autentica, che sembra avere le fattezze di un bagliore, di un fascio di luce rigenerante da cui poter trarre benefici reali per un’esistenza migliore.
Let’s Keep Him Singing !!