Van Morrison Roll With The Punches
2017 - Caroline Records
#Van Morrison#Jazz Blues Black#Blues #Jeff Beck #Chris Farlowe #Georgie Fame #Paul Moran #Dave Keary #Stuart Mcilroy #Mez Clough #Laurience Cottle #Paul Jones #Jason Rebello
Il nuovo disco, che dopo tanto tempo si avvale di ospiti di rilievo come Chris Farlowe, Georgie Fame, Jeff Beck (che suona in cinque pezzi), Paul Jones and Jason Rebello, presenta cinque brani a firma Van (solo tre realmente nuovi) ben integrati a dieci blues/r&b standard, nel complesso un corpo di lavoro impregnato di quella spontaneità interpretativa e genuinità sonora tipica delle registrazioni live (non a caso Van di recente ha espresso sentimenti di noia nei confronti degli “studio recording”).
Se la musica nera è stata la prima influenza del musicista irlandese, il texas blues, che ha avuto in lui punti di riferimento assoluti come Blind Lemon Jefferson, Lightnin' Hopkins e soprattutto Lead Belly (suo vero mito giovanile), è stata la corrente blues (non a caso con più swing ed elementi jazzati) a cui Van si è maggiormente interessato inizialmente; a seguire ovviamente c’è l’altra parte influente, quella “sacra”, ovvero il gospel blues di Blind Willie Johnson e Sister Rosetta Tharpe, il gospel di Mahalia Jackson, il soul classico di Sam Cooke e quello più eclettico di Ray Charles. In queste correnti americane (texas blues, jazz e soul) ha avuto inizio la visione artistica del giovane Van Morrison poi sublimata con l’aggiunta della sua parte irlandese caratterizzata da sonorità folk e finissima sensibilità poetica.
Infatti, guardando all’essenza del disco le emozioni più vere arrivano dai brani blues più personalizzati, orientati al soul, al gospel, allo swing, non a caso direi. Molti anni dopo le iconiche dritte spirituali e terapeutiche di “And The Healing Has Begun”, “No Guru No Method No Teacher”, o quelle più incerte di “Enlightenment, don't know what it is”, “Gonna be a transformation down in your soul” identifica la nuova e stupenda ballata folk blues con progressione gospel di Transformation, pezzo che si erge ad esegesi, sintesi “meditativa” dell’attuale interiorità morrisoniana (Van è ora membro di “Agape”, un centro spirituale californiano); con gli ascolti ci si accorge (oltre al fatto che le indubbie assonanze con alcuni pezzi passati morrisoniani si perdono per strada già al secondo ascolto…) che siamo davanti ad uno dei suoi pezzi più belli ed essenziali delle ultime due-tre decadi. Brano dalla struttura incantevole: testo genuino, ritornello che non esce di testa, il canto ispirato di Van, la chitarra unica di Jeff Beck, Jason Rebello al piano, i cori con Chris Farlowe, Sumudu e Dana…un vero mix adrenalinico di splendida musica e ritrovata pace interiore. Dopo questa gemma il resto ci offre ancora molto. Non da meno certamente il bellissimo swingante gospel blues di How Far From God (Sister Rosetta Tharpe), senza ospiti, con la sua band abituale (Paul Moran all’organo hammond, Dave Keary alla chitarra, Stuart Mcilroy al piano, Mez Clough alla batteria e Laurience Cottle al basso elettrico) esegue un vero e proprio capolavoro; brano velocizzato, orchestrato stupendamente con piano jazzato, ma sopra tutto e tutti la voce di Van The Man, qui veramente al top, potente, libera e torrenziale, riesce a raggiungere le corde delle nostre emozioni in modo profondo.
Bring It On To Me, la cover di Sam Cooke uscita come primo singolo, poteva risultare inutile inseguendo l’energia di alcune decadi fa ma si è diversificata, è diventata più seducente e puramente “soul” nei modi che solo Van sa fare, con un creativo sviluppo del pezzo, un bel finale dettato dalle classiche ripetizioni morrisoniane e non ultimo l’assolo centrale di Jeff Beck a dir poco fantastico, più che un assolo, per la sua dimensione universale, quasi una sinfonia.
Tra i blues più veraci emerge l’anima di Muddy Waters nel ritmo marziale della title track che apre l’album, Automobile Blues di Lightnin’ Hopkins è una delle cose più belle, forse il blues più genuino del lavoro, con l’armonica stellare di Ned Edwards e il lamento blues di Van che duettano a stretto contatto in modo davvero appassionato. Goin’ To Chicago, uscita come terzo singolo, con Georgie Fame in evidenza è altrettanto brillante e stratificata nelle varianti stumentali e vocali. Stormy Monday- Lonely Avenue, grazie a Jeff Beck e Farlowe sviluppa alla grande quello che in passato ci aveva già offerto, stessa cosa per Ordinary People, altro pezzo blues morrisoniano di vecchia data. Il gospel blues di Benediction, già inserita nel suo tributo jazz a Mose Allison, è qui riproposta con un passo più accellerato, più arrangiata, altra bella versione con finale gospel corale. Più classiche I Can Tell di Bo Diddley che rimane su stilemi più ordinari, Fame, presa dal lontano What’s Wrong With This Picture (2003), dove Van duetta con Paul Jones, Too Much Trouble sembra ripercorrere la strada tracciata da The Pen… su Keep Me Singing, Teardrops From My Eyes è leggera e godibile, Mean Old World di Little Walter ha un gran bel feeling. Il delizioso country blues venato di rock and roll di Ride On Josephine chiude in bellezza. In sintesi: grande disco, alcuni pezzi super, niente da buttare.
Come afferma lo stesso Van: "Le canzoni su Roll With The Punches – scritte da me o meno - sono orientate alla performance”,”sono stato interprete prima di iniziare a scrivere canzoni…”, il disco ha una reale anima blues che lo pervade, ed è questo aspetto che lo valorizza in modo determinante. Nel lamento enigmatico di Van c’è sempre stato il blues, prima tutto, ma anche il gospel e l’improvvisazione jazz; elementi basilari per l’arte interpretativa di uno dei più grandi cantanti dell’intera popular music.
Insomma, nonostante l’età Van The Man è ancora a grandi livelli, la sua voce ci contagia ancora con l’urgenza e il mistero di sempre, lo dimostrano i quindici brani di Roll With The Punches che, rispetto ai passati tributi (jazz, country, skiffle) sembra avere, per significati, contenuti e musicisti, una marcia in più (un pensierino ai Grammy Awards, per quel che possono valere in termini artistici, ci sta tutto); se poi lo sommiamo ad una dimensione live sorprendentemente intensificata (solo due anni prima sembrava avesse quasi tirato i remi in barca), ai tanti sorrisi diffusi in rete, alla vitalità della voce, a quel vigore e quella voglia di improvvisare che talvolta qualche anno fa sembravano smarriti, beh…bisogna far festa, uno dei più importanti artisti della nostra musica se la passa ancora benone, ci regala ancora grande musica e ci fa sperare per il futuro più immediato.
Ps: per i fan del nostro si segnalano a breve il nuovo disco di Mitch Woods (Van canta in tre brani) e l’annunciato Box (3cd) di Healing Game forse spostato a primavera.