Bobo Rondelli Disperati, intelletuali, ubriaconi
2002 - ARROYO RECORDS
Ad accomunarli, è la perseveranza nel rompere schemi e categorie: Bobo è un ribollire di cantautorato da Tenco a De Andrè, passato anche per il cinema (“Sud side story”, “Andata e ritorno”), Stefano un insaziabile onnivoro con un elenco di collaborazioni che vanno da Irene Grandi a Hector Zazou, dalla Bandabardò a Phil Woods, tanto per fissare qualche estremo.
La scintilla è scattata quasi per scherzo, dopo un concerto, immaginiamo innescata a vicenda dall’ironia dei personaggi, e questo “Disperati, intellettuali, ubriaconi” fotografa perfettamente la tensione espressiva dell’inedita coppia. Bobo ci ha messo le sue canzoni, recuperando Ciampi (“Io e te, Maria”), Tenco (“Un giorno dopo l’altro”) e qualche brano del suo passato (“L’ultima danza”, “Gigiballa”), mentre Stefano si è fatto carico degli arrangiamenti e della produzione. Così da una parte ci sono una scrittura verace e una voce bastarda, bagnata nel vino delle osterie e in locali notturni da due soldi, dall’altra un piano surreale, che tiene tutti gli strumenti in bilico tra il jazz e la chanson, con la coscienza di un intellettuale e il sorriso di un bambino.
“Disperati, intellettuali, ubriaconi” è un disco raro, perché ha un senso tutto suo, più importante da dire di tutte le sfumature che contiene (e sono tante dal valzer al blues, dallo swing al mambo, dal jazz al folk): Canzoni, con la C maiuscola, che inseguono con disperazione la vita nel suo profondo, sia che si tratti di un amore difficile, di una povertà post-guerra, della crudeltà di un nuovo conflitto, di una inguaribile solitudine e di istinti che non si possono trattenere. Nulla è lasciato al caso e tutto ha la forza della spontaneità, la musica trabocca con commoventi tenerezze e con improvvise burrasche: un chitarra appena arpeggiata o suonata nella sua pienezza, una linea di contrabbasso, i giri di una fisarmonica o dei fiati, non c’è mai una caduta di tono.
Il disco trova unità in quel sarcasmo poetico che è proprio dei testi di Rondelli come degli arrangiamenti di Bollani, entrambi avvezzi a dissacrare e a recuperare.
La notte è l’ambiente protagonista, immagine di quella profondità a cui i due artisti mirano, uno con le canzoni, l’altro con le singole note. Un’unica atmosfera allora in cui la verve teatrale della voce di Rondelli trova finalmente il suo ideale contrappunto nella fantasia del piano e della mente di Bollani, arrivando a quello che è sicuramente il disco che l’artista livornese cercava e meritava da anni.
Non è un caso che i due compagni siano uno toscano d’origine e l’altro d’adozione, e nemmeno che abbiano recentemente ricevuto uno (Bobo) il Premio Tenco e l’altro (Stefano) il New Start Award.
Un giorno ci ricorderemo di questo cd. E ci commuoveremo ancora, fieri di sentirlo nostro, italiano.