Radiohead I might be wrong - live recordings
2001 - EMI RECORDS LTD
Otto canzoni che sono degli estratti da quelle serate colme di una disarmante e scarna bellezza; otto episodi, tratti da “Kid A” e da “Amnesiac”, preferiti a pezzi più noti di sicuro impatto; otto tentativi di continuare la ristrutturazione e la destrutturazione degli stilemi rock. Frammentario e contorto, questo “I might be wrong” si propone proprio nella sua vitale sporadicità a nuovo modello per la musica dal vivo. E nella sua ossessività mostra come si possano ancora trovare nuove vie all’interno della ripetitività rock.
A differenza di altri gruppi diventati schiavi delle loro stesse variazioni (U2 in primis), i Radiohead anche dal vivo usano la sperimentazione e l’elettronica come strumenti finalizzati alla ricerca di uno spleen fortemente ipnotico; mantengono e rigenerano quell’evocatività a cui il rock da sempre anela sin dai tempi della nascita del blues e della psichedelia. Un brano come “The national anthem” apre il concerto e il senso del disco: togliere qualunque esteriorità al rock, scarnificarlo, aprirne le ferite per creare nuovi innesti. Per questo “Like spinning plates” si muove tutta su una tastiera minimale, “Idioteque” su un glockenspiel quasi infantile prima di sfociare nel rumorismo apocalittico di “Everything in its right place”, colma di skretch, echi e voci sovrapposte.
Non bisogna considerare tanto le singole canzoni, quanto il risultato e l’emozione complessiva: come in un mantra, si arriva alla contemplazione solo una volta penetrato e colto lo spirito del movimento. Il rischio è quello di cadere nella stasi o in passaggi abulici, senza meta, come sembra succedere in “Dollars and cents”, ma è l’effetto di quella stessa ineffabilità capace poi di rendere unica una piccola ballata acustica come “True love waits”, che, interpretata da qualcun altro in un contesto diverso, sarebbe rimasta una banale ninna nanna.
Questa è l’ennesima prova di forza e di coraggio di un gruppo, che, dopo anni di silenzio, ha pubblicato di seguito tre dischi, puntando verso direzioni opposte a qualunque previsione e a qualunque logica commerciale. Forse dovremo ora aspettare altrettanto prima che le loro menti e le loro fragili mani tornino a diffondere e a suggerire. D’altronde nulla procede a caso nelle evoluzioni sonore e strutturali dei Radiohead, per cui periodi di interiorizzazione e di rielaborazione interna sarebbero necessari e indispensabili. O forse l’ansia creativa e la spinta verso l’esterno delle loro sbilenche intuizioni li riporterà presto a partorire nuove creature. Potrebbero anche sbagliare, ma di sicuro hanno il pregio e la capacità di insinuare dubbi.
Discografia:
PABLO HONEY 1993, PARLOPHONE
THE BENDS 1995, PARLOPHONE
OK COMPUTER 1997, PARLOPHONE
KID A 2000, PARLOPHONE
AMNESIAC 2001, PARLOPHONE
I MIGHT BE WRONG 2001, EMI RECORDS LTD.