special
Radiohead Report dei concerti di Roma e Firenze del tour 2012
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Una lunga attesa. I Radiohead mancavano da anni nella Capitale, e la tragedia avvenuta in Canada questa estate aveva fatto slittare il concerto, inizialmente previsto per il 30 giugno.
Ma un’attesa ampiamente ripagata. Un immenso gioco di luci offerto dal palco, con gli schermi che si modulano in base ai brani. I richiami alle infinite possibilità di conoscenza offerta dalla augmented reality e gli echi del Grande Fratello Orwelliano che tutto controlla. Ciò che accade sul palco si fonde con quanto trasmesso sugli schermi, e realtà e fantasia sfumano l’una nell’altra.
Ed al centro di questo armonico sistema solare ecco il nucleo pulsante dei Radiohead. Ecco Thom Yorke, minuto alfiere alienato di questo mondo post-paranoico. Ecco una band che si permette il lusso di cambiare scaletta ad ogni data e di far amare dal vivo tutti i brani, recenti e passati.
Perché, nonostante la presenza di brani come Idioteque e Paranoid Android ( che da sole valevano il biglietto), a restare dentro non sono i singoli pezzi quanto l’atmosfera, la certezza di stare assistendo a qualcosa di unico in cui la musica supera se stessa, di godere di uno stato di grazia in cui ogni nota non è fuori posto. E c’è spazio per ogni emozione. Esplosiva è la rabbia del paranoid android senza nome, che si scatena con il riff ritorto ed un coro di “You don't remember, you don't remember, why don't you remember my name”. La dolcezza di Separator . Lascia un segno la ribellione sotterranea e strisciante come un fiume carsico di Exit music, con un testo al vetriolo dietro un suono quasi languido.
C’è posto anche per il sarcasmo nella dedica al nostro ex- premier prima di The daily mail, che inizia con Thom Yorke solo al piano prima dell’entrata in scena del resto della band e lo schiaffo sonoro dei versi finali “President for life, love of all/the flies in the sky, the beasts of the earth/the fish in the sea have lost command”.
Maestosa è l’elettronica disperazione di Idioteque, inquietante come Cecità di José Saramago, forsennata come una corsa a perdifiato verso un dedalo ignoto.
Una poesia sonora surrealista si dipana per tutta Pyramid song, tra angeli dagli occhi neri ed amori passati
E quando tutto finisce sembra quasi di svegliarsi da un bel sogno, dopo aver nuotato nell’aria. E si torna a muoversi con l’inconsapevole leggerezza dei passi di danza accennati da Thom Yorke sul palco.
***Arianna Marsico***
Scaletta del concerto di Roma:
Lotus Flower
Bloom
15 Step
Weird Fishes/Arpeggi
Kid A
Morning Mr. Magpie
There There
The Gloaming
Separator
Pyramid Song
Nude
Staircase
I Might Be Wrong
Planet Telex
Feral
Idioteque
First encore:
Exit Music (for a Film)
House of Cards
The Daily Mail
Myxomatosis
Paranoid Android
Second encore:
Give Up the Ghost
Reckoner
Everything In Its Right Place
***Caribou e Radiohead, Firenze, Parco delle Cascine, 23/09/2012***
Firenze, Le Cascine…Strade bloccate al traffico. Prima e dopo un percorso ecologico di km e km dall’Isolotto e in particolare dal Lungarno dei Pioppi attraverso i lunghi, maestosi sentieri alberati delle Cascine, un percorso di iniziazione nel silenzio assolato pomeridiano, parallelo, eppure distante, per impatto emotivo e impressioni percettive, dallo svagato e festante passeggio per le fiere. C’è molto da camminare infatti anche dopo aver abbandonato i quieti e improvvisati accampamenti tra muschio e asfalto davanti ai cancelli, tra polizia a cavallo, transenne a zig-zag per obbligare a rispettare la fila, cimiteri di tappi di bottiglia e cani anti-droga (ovviamente inutili per chi è “pulito”, così come per chi è equipaggiato; comunque che brutta fama che hanno gli spettatori di certi concerti, eh, mica-tanto-gggiovane Renzi?). E c’è tempo per lasciare i pensieri a casa e prepararsi all’atmosfera del concerto, un tuffo dall’esterno all’interno, per incontrare fantasmi interiori allucinati ed assaporare incanti onirici siderali, tensioni elettroniche convulse e malinconie accorate.
Passano le ore e al prato delle Cornacchie cominciano a riecheggiare loop ossessivi, che sembrano inoculare suspense densa nell’aria: è un’anteprima dei brani di Caribou, al secolo Dan Snaith, accompagnato dalla sua band. E’ infatti attorno a samples febbrili che si sviluppano i pezzi tratti dall’album Swim (2010) che avvolgono in un’elettronica psichedelica; essa a volte appare sofisticata e martellante (Sun), a volte accompagna sinuosa linee vocali quasi dalla morbidezza soul (l’elegante Jamelia), altre ancora lampeggia tra ipnotici bassi quasi funk, come nella canzone più celebre del set, la dolente Odessa.
Il limite dell’artista canadese dal vivo è però nel suo maggior pregio, quello di essere un polistrumentista: si divide tra percussioni, che raddoppiano e completano l’impatto pulsante della batteria (contraltare ctonio della lunga, eterea Leave House, intessuta di acuti), sintetizzatori e microfono e talvolta, seppur raramente, impegnato nelle sequenze, relega anche il canto ad un sample: dovrebbe forse allargare la sua band per evitarlo.
Dopo il cambio palco (lungo il giusto in un concerto che rispetta i tempi previsti, ma ovviamente soggettivamente sempre interminabile), arriva il momento tanto sospirato per i 30.000 spettatori delle Cascine, molti dei quali attendevano la band già per il 1°luglio, data prevista per lo show prima del tragico incidente che provocò la morte del tecnico Scott Johnson. Thom Yorke,Jonny Greenwood, Ed O’Brien (sempre il più carino e il meno hipster del gruppo, che sembra sfuggito a un gruppo di Los Angeles o Seattle), Colin Greenwood, Phil Selway e il secondo batterista (sempre calvo) Clive Deamerdei Portishead salgono sul palco, anticipati da un mantra di samples vocali, che dà la misura di quell’atmosfera riflessiva e sacrale spesso racchiuderà gli spettatori in silenzi estatici, atti a perdersi tra note e parole dei Radiohead.
Fin dal primo brano in scaletta, Bloom, si percepisce che questo sarà un concerto che proporrà in versioni molto più suonate le canzoni dell’ultimo album, The King of Limbs (2011): mentre si nuota in una luce celeste, che accentua la dimensione onirica del brano, la ritmica, complici anche le percussioni aggiunte di uno scatenato Jonny Greenwood, scuote e sferza l’aria, scandendo rallentamenti e accelerazioni; il ritmo sarà sempre in netta evidenza durante tutto il live, grazie anche a volumi molto più alti, per la gioia dei fan, di quelli del tour 2008 (o almeno delle date milanesi dell’epoca).
Tra un saluto e una battuta di Yorke in un italiano che suona sempre un po’ buffo (detto con tanta tenerezza ovviamente per il nostro folletto dell’Oxfordshire), il concerto accompagna gli spettatori in altalene emozionali che sospendono tra cielo e inferno; si susseguono così pezzi come l’inquietante There There e la frenetica 15 Step, che, grazie anche a vertigini di basso e chitarra, raggiunge nei momenti strumentali buoni picchi d’intensità, percossi dal ritmo, tra luci rosa e verdi che abbagliano la vasta platea del prato fiorentino.
Ottimo il crescendo di Weird Fishes/Arpeggi, complicata ulteriormente nella trama della chitarra da Jonny, che a volte sembra sciorinarla a fatica: forse per colpa dei volumi elevati dell’elettronica, che talvolta si fa diventa stridente e onnivora, il pur egregio chitarrista, osannato perno dei brani dei Radiohead, a volte semina qualche piccola, insolita sbavatura, al di là delle volute dissonanze. E’ strano come possa capitare a una band internazionale così allenata ai live e idolatrata dalle folle, ma tant’è. Prendiamolo come un tocco ulteriore di umanità, in cui un gruppo, attivo dal 1985, che ha 19 anni di successo alle spalle (dal primo album ufficiale Pablo Honey in poi), ma non mostra mai atteggiamenti divistici. Yorke, poi, da essere un ragazzo timido e tormentato, appare ora sul palco un uomo sereno e tranquillo, che, nonostante attraversi le fitte ombre interiori della sua musica, sembra divertirsi un mondo mentre saltella qua e là, o si gira per dispensare sorrisi complici o autoironici al pubblico. Sempre clamorosa è l’intensità tagliente e dolorosa della sua voce, talvolta spezzata, talvolta sognante come inSeparator.
Mentre gli schermi calano come occhi sui movimenti dei musicisti, per poi risalire in alto a riempirsi di colori, si ascoltano i piccoli baluginii, insieme dolci e sinistri, di Kid A, con tanto di vocoder e danze nevrotiche di Thom, i synths ariosi e atmosferici, nonché le seducenti spire di basso anni ’70 di Staircase, o ancora le note drammatiche della lancinante, rassegnata Nude. Toccante èHow To Disappear Completely, avvolta in una nebbia di malinconia quasi religiosa, mentre sempre travolgente risulta l’impennata di Bodysnatchers.
Tra i brani dell’ultimo disco che acquistano punti dal vivo, ci sono Lotus Flower, con intro lisergica tra luci infiammate e ottimo ritornello, ma anche una minimale, struggente Give Up the Ghost, scandita dai battimani del pubblico. Filed under “momento da ricordare tutta la vita e anche un po’ oltre” da tutti i fan è la reprise acustica della splendida e acclamata Karma Police, che Thom, alla chitarra, fa cantare alla carica dei 30.000 delle Cascine; infine tra le chicche della serata, l’inedita Identikit con synths evanescenti, ritmica quasi trip-hop e linea vocale a tratti salmodiante, le atmosfere cangianti di Planet Telex, retaggio del lato più “rock” della band, così come l’accenno della coverThe One I Love dei R.E.M., stravolta in una sorta di ninna-nanna dalla dolcezza ambigua e dolorosa, ideale preludio per il finale con la spettrale Everything In Its Right Place, che i cinefili ricorderanno anche nella colonna sonora dell’inquietante film Vanilla Sky di Cameron Crowe (2001).
Non è una chiusura catartica e ti restano tensioni pensierose a camminare sui nervi denudati dalla musica surreale dei Radiohead, mentre ti avvii in quieto pellegrinaggio tra i sentieri del parco: sarà anche per questo, oltre che per le tante ore in piedi (per molti anche dieci o più), che in pochi parlano, mentre seguono le luci per ritrovare l’uscita e i prati soffici delle Cascine sembrano invitare a trascorre la notte lì, sotto il tetto del cielo, che appare incorniciato da nubi grigie, dopo la grande calura pomeridiana.
Mentre i venditori delle bancarelle, ben più freschi e vispi, provano a piazzare scarpette e t-shirt tarocche, a prezzi sempre più concorrenziali, uno spettatore però commenta, secco: “Con canzoni come quelle dell’ultimo disco non sarebbe mai diventati famosi”. Tranchant ed esagerato. Però ti fa riflettere su quella strana sensazione dolceamara che ti è rimasta in bocca dopo il live: forse è mancato qualcosa. Ogni concerto di Yorke e soci è unico, irripetibile ed imprevedibile grazie a una scaletta sempre diversa e al brivido del “chissà che canzone suonano ora”; però i brani tratti dallo storico, inarrivabile Ok Computer e dal precedente, seminale The Bends, che ha influenzato un numero infinito di musicisti, sono troppo pochi per data.
I Radiohead non hanno mai riposato sugli allori: hanno distrutto e ricomposto la struttura-canzone ed hanno oltrepassato le frontiere tra vari generi, sdoganando l’elettronica nel brit-rock e spostando ad ogni disco sempre l’asticella più in alto, più in là, a costo di alienarsi le simpatie dei fan dei primi album con lavori complessi da metabolizzare; però forse ai loro concerti ora manca lo spessore qualitativo dei capolavori del passato, con il loro magma di storia e ricordi, con il loro portato disperato di emozioni e paure. Allora, visto che sei cresciuto con loro e non si danno arie da star, vorresti tornare indietro e suggerire loro, come se fossero tuoi amici musicisti: “E allungatela quella scaletta, una mezz’ora in più vi costa poco sudore, ma sarebbe un’iniezione di magia. Quella della vostra e nostra storia. Che vi ha reso grandi, quando non c’era ancora attorno a voi quell’aura di santità che nobilita pure dischi meno entusiasmanti e pure un po’ sconclusionati come l’ultimo”.
Ma poi vedi le famiglie con i bambini per mano, i gruppi di amici che ripensano al concerto, i ragazzini che avevi visto leggere libri sul prato in attesa del live, le coppie sorridenti e pensi che questo variegato popolo della musica sembra comunque contento dell’esperienza. E lo sei anche tu. Allora va bene così.
***Ambrosia J.S.Imbornone***
Scaletta di Firenze:
Bloom
There There
15 Step
Weird fishes/Arpeggi
Kid A
Staircase
Morning Mr. Magpie
The Gloaming
Separator
You and Whose Army?
Nude
Identikit
Lotus Flower
Karma Police
Feral
Idioteque
First encore:
Airbag
How to Disappear Completely
The Daily Mail
Bodysnatchers
Planet Telex
Second encore:
Give Up the Ghost
Reckoner
The One I Love (R.E.M.)/Everything In Its Right Place
***Foto 1 di Noelia Suarez, foto 2-14 di Henry Ruggeri Photo, foto 15 di Arianna Marsico.***