Inteso in questo senso, Harvest di Neil Young è la mietitura del miglior prodotto musicale del cantante canadese. Chiaro, no?
Siamo nel 1972 e Neil Young, artista country rock dalla vocina acuta riconoscibile tra milioni, che aveva già inciso gli ottimi Neil Young (1968) Everybody Knows This is Nowhere (1969) e After the Gold Rush (1970), regista un disco dalla copertina “essenziale” e dalle canzoni speciali.
Il cd si chiama Harvest, è suonato con il gruppo di musicisti country The Stray Gators (Jack Nitzsche (piano), Ben Keith (chitarra), Tim Drummond (basso) and Kenny Buttrey (batteria), e se volete esagerare con gli amici potete affermare senza paura che si tratta di uno dei 100 dischi più importanti della storia della musica.
Diciamo che il disco suona come un tramonto poetico e sognante passato appoggiato sulla spalla della propria metà mentre si è distesi su un campo di grano. Oppure intenso ed emozionante come un concerto sotto la pioggia durante la calura estiva. È un disco che sa di mele appena raccolte e di passeggiate sotto al sole, in bicicletta. Sa di selvaggio e delicato allo stesso tempo. Sa di Nashville – dove fu registrato – e di country, ma anche di rock morbido e di schitarrate elettriche, ed è intriso di politica, risvolti sociali e attualità, temi sempre molto cari al cantante di Toronto.
Provate a mettere il cd in auto mentre siete con ospiti diversi: provatelo a mettere su con la vostra fidanzata, poi coi vostri suoceri, poi provate con la nonna e infine con il cane. Scommetto che nessuno vi dirà di non apprezzarne le canzoni, nemmeno il cane che probabilmente passerà tutto il tempo scodinzolando e abbaiando a tempo.
Il disco – che disco! Lo posso dire già da ora – inizia con una ballata: Out on the weekend, che malinconica ci scarrozza tra paesaggi assolati del Tennessee e passeggiate in solitario, col sole in faccia.
Successivamente, altre 9 canzoni che hanno fatto storia (lo scriverei con piacere in maiuscolo, HANNO FATTO STORIA): piccoli gioiellini country come la traccia che dà il titolo all’album e ballate romanticissime e universali (A man needs a maid, Heart of gold), brani più scanzonati come Are you ready for the country? e episodi commoventi ed emozionanti (Old Man).
Chiudono il disco, canzoni impegnate e per nulla semplici, che hanno al centro dei testi tematiche scottanti e attuali, come l’idea di un mondo migliore, il razzismo, la dipendenza dalla droga e l’amicizia (There’s a world, Alabama, The Needle and the Damage Done), per poi aggiungere l’ultimo tassello con la canzone forse più bella dell’intero disco: Words (beetween the lines of age), lunga, tosta, seminale ballata country rock che mette purtroppo la parola fine al disco che è probabilmente il migliore di Young. Un caleidoscopio di suoni, colori e umori, immortale.