Neil Young Living with war
2006 - Reprise
Quello che per Springsteen è stato un ritorno alle radici della tradizione folk, per Neil Young è invece un ulteriore avanzamento sulla strada di un rock fortemente politico. Chitarre elettriche, tromba, vocals e addirittura un coro di cento elementi colmano le canzoni più di quanto avessero fatto fiati ed archi nel precedente “Prairie wind” che già era stato il suo lavoro più pieno e vario.
Procedendo a testa bassa con il coraggio che da sempre lo contraddistingue, il vecchio Neil ha suonato e registrato in fretta, ma “Living with war” è un disco che covava da tempo e che non poteva essere trattenuto oltre. Questo cd riesce dove “Are you passionate?” aveva fallito e dove “Greendale” aveva preferito narrare piuttosto che denunciare: Neil Young si scaglia apertamente contro il governo americano alzando un grido di protesta che mancava da tempo.
Non bisogna pensare a “Freedom” o ad un nuovo “Ragged glory”, perchè l’obiettivo è regolato in modo diverso: le canzoni avanzano più monotone che coi Crazy Horse puntando su una forza ripetitiva condivisa con cori e backing vocals. Bastano poche intuizioni a Neil Young per buttare fuori dei grandi pezzi: la title-track vive di uno slancio melodico che si porta dentro il sentimento controverso di un’umanità costretta a convivere con lo spettro della guerra. “Let’s impeach the President” è un invito diretto a scacciare Bush: ogni strofa è una denuncia precisa che reclama giustizia fino a culminare in una parte parlata. “Lookin’ for a leader” è invece collegata alla conclusiva “America the beautiful”: la prima si alza su chitarre dure, mentre la seconda su un esercito di voci, ma entrambe dichiarano affetto e rabbia per il proprio paese (“America is beautiful / but she has an ugly side”).
Importante la tromba di Tommy Bray che intona temi vagamente militari a cui le chitarre elettriche si oppongono costruendo canzoni di protesta vera: non a caso “Flags of freedom” è un richiamo esplicito al Dylan degli anni ‘60. I testi poi cantano di un Giardino (dell’Eden) abbandonato, di bandiere che sventolano a vuoto, di salme che tornano a casa nelle body bag, di un presidente che non è nella Casa Bianca. “Shock and awe” prende nome dall’operazione militare contro l’Iraq, ma il grido più forte è quando Neil Young canta di famiglie e di bambini “scarred for life”. E la conclusiva “America the beautiful” non ha nulla di patriottico: è un auspicio disperato come lo era “Blowin’ in the wind” suonata elettrica.
Ancora una volta Neil Young si dimostra uno dei più grandi artisti del nostro tempo: ha capito che c’era bisogno di una voce e non ha esitato a mettere in gioco la sua. Per chiamarne in causa tante altre, molte più di cento.