Modena City Ramblers Sul tetto del mondo
2011 - Modena City Records/Mescal/Universal
Dodicesimo album, vent’anni di carriera, e riecco i Ramblers ad aver fede ancora in un’Altritalia che lotta contro le mafie e spera ancora nella politica come dedizione e idealità, fa volontariato o “crede ancora nell’onesta informazione”, tra i noti colori pimpanti delle sonorità irlandesi. In un’aria tesa, ritroviamo poi la band a raccontare con ferma dignità amara, attraverso percussioni sostenute, fisarmonica e violini tristi, I giorni della crisi, tra “amori arresi”, “sorrisi sicuri resi ai migliori offerenti”, smarrimenti e perbenismi drogati.
Le sonorità irish, con tanto di tin whistle, incontrano quelle mediterranee con mandolino, nacchere e tammorra ne Interessi zero, sui nuovi gatto e la volpe delle finanziarie; la delicata poesia dell’offrirsi disarmati con la ricca povertà di “un naufrago abbraccio sfuggito all’imbarco” è dipinta da Tra nuvole e terra. I MCR abbassano i volumi anche per sussurrare la fatata ninna-nanna d’amore acustica di Specchio dei miei sogni: l’amore in queste canzoni è incanto da preservare e forza fragile con cui attraversare e superare le difficoltà del reale; non è idealizzato nella retorica della felicità, ma è custodia dei sogni nelle tempeste della vita.
Il ritmo “addictive” di Camminare mescola cadenze reggae a suoni vividi che buttano lo sguardo nell’Europa dell’Est verso i Balcani e la Russia; queste sonorità, associate a percussioni africane e con tanto di accelerazione finale, ricostruiscono con fresco fascino esotico le atmosfere antiche del lamento “dantesco” del Povero diavolo, che vede che “la perduta gente or va fiera per lo mondo”. La tromba di Simone Benassi, le mirabolanti percussioni e i cori di Tony Esposito portano il sapore del Sudamerica invece in ¡Que viva Tortuga!, che, ispirata ai testi di Edoardo Bennato, conduce su un’isola di “pirati” contrapposti al Sistema di “censori” e “benpensanti”.
L’Esagono, idealmente accarezzato dalle foto in bianco e nero del booklet arancione, è salutato invece dall’affresco nostalgico ed insieme brioso de Il posto dell’Airone, tra e-pipe, banjo, flauto e fisarmonica.
Questo non è un disco innovativo, ma incarna uno degli ultimi avamposti di chi – come recita la title-track, con l’accorata levità del suo violino in primo piano – continua a “rincorrere un pugno di sogni”, nonostante l’amarezza di un presente in cui le “vecchie illusioni” sono state barattate con “promesse d’oro e d’argento”. I Modena City Ramblers ci narrano ancora storie e figure emblematiche di oggi, con il portato, mai domo e senza tempo della malinconia e della rabbia affidata al combat-folk, che non ha latitudine, perché sale vigoroso e contagioso come l’odore della terra (v. S’ciòp e picòun in dialetto emiliano). E con la forza di ideali che non dovrebbero e non possono mai tramontare dove sorge il sole dell’avvenire.