Modena City Ramblers Dopo il lungo inverno
2006 - Mescal/Universal
In questo album sono lontane le atmosfere cupe di una “Altri mondi” o il vivido disinganno iconoclasta del “Testamento di Tito”: il dolore è scoperta che affratella (v. l’antimilitarista “Le strade di Crawford”, canto disperato di una madre sulla morte insensata del figlio, soldato americano in Iraq, ispirato alla storia di Cindy Sheehan) e fondamento di una lotta di cui si aggiornano ancora le parole dinnanzi ai trasformismi di un sistema fin troppo longevo, mentre il disincanto si stempera in ironia. Musicalmente nel disco, che si avvale della produzione artistica di Peter Walsh (Peter Gabriel, Simple Minds, Yo La Tengo, Pulp), si mescola il timbro cristallino del cittern dell’irlandese Terry Woods, ex Pogues, al suono sinuoso dell’oud arabo, il mandolino al charango andino della afro-americana “Tota la sira”, il sassofono al whistle, l’armonica americaneggiante ai fiati della brass band macedone Original Kocani Orkestar, capeggiata dalla tromba di “King” Naat Veliov (v. la multilingue “Western Union”), il violino indiano associato a sonorità mediorientali e le trame di archi struggenti e maestosi del Quartetto reggiano Koinè, in evidenza in “Mala sirena”. Questa efficace ballata canta la vita che risorge dalle ceneri del degrado materiale e dello sconforto spirituale postbellico con arpeggi dolcissimi di chitarra acustica, il suono delicato e metallico del glockenspiel, le note argentine del mandolino, acuto come un sottile dolore tra le membra, l’irrompere della chitarra elettrica a scandire il ritorno solenne ai ritmi consueti dell’esistenza.
Tra i brani più veloci è da segnalare “Il Paese delle Meraviglie”, sarcastico reggae sull’eterna cuccagna del più forte, del padrone di ogni cosa con al soldo schiere di avvocati, pronti a garantire l’impunità per lui e i “suoi alleati, già pregiudicati”, con il contrappunto finale degli slogan vibranti del rapper bolognese-catalano Luca “Rudeman” Lombardo. “Cambia il vento, cambierà”, annuncia con sicurezza “Stranger in Birkenau”: intanto non muta l’afflato “rivoluzionario” dei MCR, proiettati nel futuro perché lontani da facili esaltazioni delle chimere del presente, pronti a custodire in un ricamo di coloratissimi suoni “altri” la fatica dei lavoratori, le lacrime di rabbia ma soprattutto la fiducia di quella carovana di folli che “insegue un nuovo giorno e sogna la prossima stazione” (“Il treno dei folli”).