Modena City Ramblers Onda Libera
2009 - Mescal
Cose che con loro succedono puntualmente, anche ora ascoltando “Onda Libera”, il nuovissimo album della band emiliana, ed è come rispalancare una finestra sulla realtà, libertà e giustizia, un farsi attraversare dal vento fresco dell’amore umile e della lotta dei semplici. Di nuovo in trincea con tutta la loro armerìa combact-folk di tin-whistle, fiddle, violini, fisarmoniche, schiettezza e Irlanda, i MCR allungano il passo barricadero – sposando la causa dell’Associazione Libera di Don Luigi Ciotti – in un viaggio lungo le terre confiscate alla mafia e riconsegnate alla società civile; un viaggio fatto di giocoleria, dibattiti, poesia e gastronomia ,ma principalmente di musica, di quella patchanka rutilante che fa battere piede, cuore e vita.
Con Onda Libera si rovista nel profondo delle nuove schiavitù, del lavoro nero, della guerra alla illegalità e del riaccorpamento alla vita libera e dei diritti, e tutto rimpinzato nella loro sempre pronta valigia rattoppata di sogni, utopie e danze; pur conservando le timbriche Irish del loro trademark, in questo nuovo excursus la band imbarca anche sonorità mediterranee, in special modo del meridione d’Italia che freme in tammuriate, tarantelle, chitarre a battente e meticciamenti variegati.
Idiomi, accenti e suoni in un abbraccio solidale, una fratellanza mai sopita che esplode in questo bellissimo manifesto alla libertà, dove i “pizzini di odio e prevaricazione” tornano ad essere coriandoli colorati di carta riciclata nel verso giusto. Bel disco tosto e tenero, vibrante di 12 tracce di alto livello e senza riempitivi, energia e passione a pieno regime rambly (Onda libera, Libera Terra), il sentirsi fuori posto in un modernismo vuoto chiuso in un walzer (Valzer chiuso in soffitta), la metafora del Popolo della Sinistra (Il naufragio del Lusitalia) ballata dedicata all’illusione delle illusioni di chi pensava di aver raggiunto la cima delle conquiste sociali restando fermo al pianterreno della scala.
Non solo potenza spaccante, pure sfumature svelanti retroterre della “nuova gente” che ci abita intorno; il balcanico stradaiolo dedicato al popolo Rom (Figli del vento), il combact-arabeggiante dei popoli in fuga dalle guerre (Di corsa) in cui interviene nel cantato anche Emad Shuman dei Kabìla, la prigionìa senza dignità (Prigioniero di chi ?), traccia reggae-dub amara dedicata ad Aldo Moro chiuso nel covo delle BR.
Un vortice di liberalizzazione che gira all’inverosimile velocità degli eventi; un album che quando si è finito di ascoltare ti ha comunicato intensità e trasmesso un’ispirazione sincera, che solo un malfidato può ritenere furbetta. E se il malfidato dovesse esserci, anche per caso, certamente non si è beato dello scalciante ritmo Bregoviciano (C’è tanto ancora), si è perso il muffin ondulante che mette in guardia a usare il proprio cervello e non lasciarsi intorpidire (Libera mente), oppure si è distratto da altro durante la tammurriata napoletana contro il lavoro nero (Ballata della dama bianca); di certo, se non altro, è rimasto freddamente scottato dal superlativo paso doble sinuoso e fatale per chi prima aveva “il potere assoluto” ed ora Mangiafuoco depresso senza più burattini nè teatrino (L’uomo nell’alto castello), chiusura in bellezza tripudiante di trombe mariache di questo viaggio lungo le terre e i popoli della legalità che gli MCR invitano tutti a percorrere. Ne vale la pena, veramente, perché è un viaggio umano che passa le frontiere, che porta il sole della riconquista del bene e lotta per portarlo a chi ancora non lo ha; un’onda che fa “tana” ai prepotenti e “libera tutti” agli onesti, tra Irlanda e Mediterraneo, tra una nuova vita e un Cisco che “uscendo Frusciantemente dal gruppo” non si è più ritrovato.