Max Manfredi L’intagliatore di santi
2001 - STORIE DI NOTE
L’impressione è di attraversare, per il modo di caratterizzare storia e soggetti, un libro di Fernando Pessoa: “La mia anima è una misteriosa orchestra; non so quali strumenti suoni e strida dentro di me: corde e arpe, timpani e tamburi. Mi conosco come una sinfonia”.
Il cantautore genovese, grazie alla sua cultura (musicale, storica, letteraria e poetica), è riuscito a comporre un album qualitativamente eccellente. Manfredi è un “fingitore“, cosi’ l’avrebbe definito Pessoa: crea personaggi e vicende che non sono le avventure di semplici alter–ego, ma risultano ispirati dalla stessa musa che portava lo scrittore portoghese a delineare racconti giocati in prima persona, con protagonisti così realisticamente particolareggiati da sembrare viventi.
La durata del disco è ottimale: dodici canzoni per cinquantuno minuti di puro incanto.
Negli arrangiamenti si sentono la ricerca, la preparazione e il labor limae che connotano l’artista.
Ed è così che, Max (o forse sarebbe meglio dire “i tanti Max”, secondo lo stile di Pessoa), permette all’ascoltatore di assaporare diverse culture e tradizioni: un fado portoghese carico di nostalgia (in “Fado del dilettante“), il viaggio marittimo e notturno di un capitano di nave in “Danza composta“, i sogni visionari di un “Intagliatore di santi“, fino ai racconti sulle “Cattedrali“ dove si respira l’atmosfera medioevale quando l’ arte conteneva in sè paradiso e inferno, dannazione e beatificazione.
Il viaggio si percorre fra Atene e Genova. Ne “Le storie del porto di Atene“ il testo si fonde perfettamente con strumenti come il bouzuki e il baglamè, che riescono a far sentire vive le voci e le vicende del Pireo.
Ciò che pare evidentemente sotteso a tutto il pellegrinaggio è il fatto che Manfredi, proprio per la sua capacità di farsi altro e protagonista, faccia entrare l’ascoltatore nelle differenti ambientazioni sempre dalla “porta posteriore“, mai dalla facciata chiara e pulita, tanto banale quanto visibile in qualsiasi cartolina turistica.
Nella canzone “Tra virtù e degrado“ si può ritrovare la poetica crepuscolare cara all’artista, con la figura dell’ inetto a vivere che vaga per Genova, tra virtù e degrado appunto, osservando quello che è il mondo a cui è legato, lasciandosi rimbalzare fra i due opposti un po’ per paura, un po’ per noluntas.
“Caterina“, per concludere, è un manifesto lirico dell’amore sognato, idealizzato, visionario, sussurrato e allo stesso tempo fragile, senza schermi protettivi e così reale da concludersi con un semplice e timido approccio nella penombra di un cinema.