Max Manfredi Dremong
2014 - Gutenberg Music
Max Manfredi, a sei anni dall’ultimo disco Luna persa, con cui ha vinto la Targa Tenco come miglior album dell’anno, ci regala questo splendido nuovo album intitolato Dremong.
Sesto album, il quinto in studio, di una storia musicale che dura da oltre venticinque anni per un autore che appartiene alla grande scuola genovese, certamente non molto prolifico ma che ha realizzato sempre ottimi lavori e che venne definito da Faber “il più bravo di tutti “.
In Dremong, nome che proviene da un leggenda tibetana legata ad un orso, da cui forse deriva anche il famoso Yeti, un nome che arriva da testi antichi, segnalato dalla moglie esperta di tradizioni tibetane e che come suono piaceva a Manfredi, ci sono tredici nuove canzoni, più un intro. I musicisti coinvolti sono circa una ventina, con una ricchissima strumentazione che va dagli strumenti classici come violino, viola, clarinetto, flauto, violoncello, pianoforte, arpa, clavicembalo, a strumenti della tradizione popolare ed etnica come laud cubano, mandolino, Glockenspiel, handpan, guzcheng cinese, guqin, baglama , lira a otto corde ma anche tastiere e sintetizzatori con campioni di mellotron, rhodes, wurlitzer, HammondB3, moog.
E’ un festival di suoni e luci, ricco di poesia, un lavoro popolare e moderno nello stesso tempo che trasuda di profumi di Oriente, di grande inquietudine, di terre lontane, di viaggi e di avventure ma che contiene anche diversi richiami a Genova. “Non sono un intenditore, sono un bevitore di musica “ dichiara Max Manfredi e questo disco è la dimostrazione di quanta musica abbia “bevuto” l’autore. C’è infatti la grande canzone d’autore con un filo che va da Faber a Conte a Capossela, ma troviamo anche musica popolare, world, blues, rock, arrivando fino al progressive, forse quanto c’è di più lontano dalla canzone d’autore.
La title track Dremong , dedicata al terribile sfruttamento dell’orso tibetano (quello con la macchia sul collo e sul petto e che appare disegnato anche nella splendida copertina) che viene rinchiuso in gabbia e gli viene prelevata la bile, è inquietante con le sue atmosfere prog , Disgelo, che è anche il primo singolo, è un cupo rincorrersi tra strumenti ad arco da camera e moog , mentre Notte lenta è una ballata introspettiva ed intimista.
Non mancano, quasi ad allentare l’atmosfera di inquietudine, i momenti di ironia come nella delicata Il negro, c’è il rock di Sestiere del molo, il rebetiko popolare di Sangue di Drago, che con i suoi cori mescola allegria e melanconia.
Da segnalare poi la lunga e splendida Piogge, che ricorda nell’andamento la gucciniana Canzone dei dodici mesi , con un grande crescendo ed un brillante finale elettrico, Finisterre, con i suoi ritmi e profumi tzigani, balcanici e mediterranei e con il suo trascinante finale e la conclusiva Le castagne matte, delicata e pura poesia dedicata alla Resistenza .
Un particolare riconoscimento a Fabrizio Ugas che ha collaborato con Manfredi alla produzione, alla scrittura di gran parte dei brani ed ha suonato nel disco e, tra i tanti bravi musicisti, alla versatile Elisa Montaldo alle tastiere ed ai sintetizzatori. Un lavoro complesso, ricercato, vissuto, poetico, che cresce ad ogni ascolto, rivelando angolazioni e cose nuove ad ogni passaggio per un album che ti avvolge completamente.
Che disco, che classe, quanta bellezza, che profondità, quanti profumi e quante sensazioni in questo lavoro ricco di grande musica e di testi sempre ispirati, che ci deliziano e ci fanno viaggiare con la mente dentro e fuori di noi.
L’ ho visto recentemente dal vivo, nel tour di lancio di Dremong, dove ha confermato la grande qualità dei nuovi brani ed in generale di tutto il suo songbook, mostrando con garbo ed ironia anche un lato, inaspettato, di fine intrattenitore che non conoscevo. Che Faber avesse proprio ragione ?
Fortemente consigliato a tutti gli amanti della grande (e vera) musica d’autore.