Max Manfredi Il grido della fata
2021 - Maremmano Records, distribuzione Ird
Il diseredato Gérard de Nerval e i suoi versi immortali costituiscono il principio attivo che metabolizza gli umori di un uomo ipersensibile e ironico, appassionato e colto: E per due volte vincitore ho attraversato l’Acheronte: Modulando di volta in volta sulla lira di Orfeo I sospiri della Santa e le grida della Fata. Chi attraversa il fiume infernale è eroe tremebondo, ma illuminato, guidato da una ragione, da un motivo, che può, o non può, trovare uno scopo, una conclusione, ma il cui percorso contiene ragioni e finalità.
Così, questo scrigno di gioielli illumina di luce inusuale scene di vita quotidiana e straordinaria, ridefinendo costantemente equilibri precari e mescolando suoni antichi e contemporanei, strumenti acustici ed elettronici, ballate dai languori primonovecenteschi, coi brividi generati da un theremin campionato, nella poetica Sala da concerto, e delicati madrigali in punta di lauda ispanica, nella suadente Elicriso, ipnotiche visioni dominate dal sound design in Nostra Signora della Neve, atmosfere decadenti e sinfoniche in Rosso Rubino.
Su tutto, dominatrice ed esaltatrice delle molteplici sfumature di un tessuto musicale simile al broccato, cangiante e ricchissimo, emerge la voce di Manfredi, mai come in questo caso intensa, vibratile, mutevole, modulata da un sapiente uso della dizione e dei chiaroscuri; una voce che dipinge, a volte scolpisce, precise parole, cesellate nel corso di lunghi anni, in cui l'artista, come l'Apis dell'omonimo brano, dona all'ascoltatore emozioni profonde, poiché "a chi scende giù fino al miele si sciolgono scienza e parole".
Passione e cultura si fondono, nell'immaginario di un autore che Fabrizio De André definì "il più bravo di tutti"; e chi si lascia prendere dall'assenzio della fata - canzone, come nella conclusiva, definitiva, Il grido della fata, non può non restare incantato dalla sintesi fra immagini, che si fanno parole, che si fanno suoni, e che tornano a essere immagini, come in un gioco di specchi che tutto comprende e tutto perdona, nel segno di un'umanità che accoglie alto e basso, poesia e prosa, relativo e assoluto. E, se "l'inverno ha due nomi, e un nome è neve, e un nome è fuoco", come Manfredi canta in Sala da concerto, il fuoco di questi dodici gioielli ci scalderà e scioglierà la neve del cuore, accumulatasi in noi, a causa di troppo tempo senza poesia.