Massimo Bubola Il cavaliere elettrico - vol. iv
2004 - ECCHER MUSIC
Già i precedenti tre episodi de “Il Cavaliere Elettrico” avevano raccontato con dovizia di particolari la vicenda artistica del cantautore veronese, che arrivò anche ad impreziosire alcuni album di Fabrizio De Andrè negli anni, fra le altre, della notevole “Fiume Sand Creek”, unico brano a meritarsi un doppio inserimento in questo cofanetto, in due arrangiamenti diversi.
Oggi, autore maturo e inserito di diritto in un’ideale top team del cantautorato italiano, torna ad alcuni dei propri brani più conosciuti, ripresentandoli in una preziosa veste live. In alcuni casi si tratta di puri accorgimenti formali, anche se operati sul palco: Bubola qui fa valere le indubbie capacità di arrangiatore, affinate di pari passo agli ascolti compiuti negli anni. E, sebbene il cofanetto in questione – e, a maggior ragione, tantomeno questo quarto volume – non contenga cover, è proprio attraverso il contatto con altri artisti (De Andrè, i Gang, gli Estra) e dalle riproposizioni di brani altrui sparse fra gli album di studio (da Willy De Ville, a Willie Nile e Tom Petty) che Bubola ha definito il proprio essere autore e produttore al contempo. Ora, senza dilungarsi sulle collaborazioni, occorre dire che tutto ciò si avverte nitidamente dalla cura riservata agli aspetti tecnici di questo disco e dalle esibizioni che esso contiene.
Tale perfezione stilistica, così ostinatamente cercata e trovata, non sempre giova però a tutti brani: se le riproposizioni di “Dostoevskij”, “Dino Campana”, “Annie Hannah” sono una boccata d’aria che rivitalizza pagine d’autore da conservare, in “Lorelei” e “Volta la carta”, i brani dove la matrice folk si fa più evidente, l’approccio della Eccher Band è troppo misurato, rigoroso e dall’impeto ridotto. Meglio allora “Camicie rosse” dove il violino magistralmente suonato da Michele Gazich incanta in diversi passaggi, o la sempre attuale “Coda di Lupo” intreccia praterie e bombe a mano come solo un maestro della parola può fare.
Ed è questo forse il punto su cui soffermarsi: per quanto si possa disquisire di arrangiamenti, chitarre acustiche e fisarmoniche, ritmi tex-mex o ispirazioni nordiche, dinanzi ad un album di Massimo Bubola l’attenzione non può che cadere sui testi, sugli stratagemmi linguistici adottati per cristallizzare un’immagine di Garibaldi a tutto tondo, senza perdersi in una esaltazione figlia dell’agiografia. O, ancora, nel meritorio recupero della figura del poeta di Marradi, quel Dino Campana tornato alla ribalta più o meno recentemente al cinema (ma l’originale del cantautore veronese risale ai tempi di “Mon Trésor” del ’97): o, infine, in quella poesia in musica che è “Eurialo & Niso”, scritta per i Gang ma opportunamente mai abbandonata dal proprio autore.
Ecco che, allora, la possibilità di pescare nel proprio repertorio in piena libertà, con l’unico “vincolo” di cercare (quel)le Storie di Personaggi, rende l’album tematicamente forte e compiuto. Se a ciò aggiungiamo il lirismo dei testi e le stesse vicende in esso raccontate, intrise di sentimento e di dettagli evocativi, sorge spontanea la domanda: a chi non è passato per la testa il desiderio di diventare Dostoevskij per “curvare le parole” e “rubare l’acqua della luna”? Beh, Massimo Bubola c’è riuscito, nel piccolo mondo della canzone italiana.