interviste
Massimo Bubola La canzone d'autore secondo me.
Con Massimo Bubola non è che serva tirarla troppo per le lunghe, in sede di introduzione. Sono diverse lune che le sue canzoni viaggiano - tra zingari e re - sotto il cielo della canzone d'autore: i risultati stanno negli oltre venti album pubblicati e sono, più o meno, alla portata di cuore & orecchie di chi è ancora capace di intendere. La sua koinè letteral/musicale combina e declina tra loro (in assoluta fluidità di stile) il rock ruvido di stampo USA alla folk ballad di tradizione veneta, il blues a Fabrizio De Andrè, la canzone politica alla poesia, e credo possa bastare così. Il resto potete desumerlo dall'intervista che segue: mi pare riveli parecchio dell'uomo e dell'artista.
Mescalina: Vorrei partire da quest’ultimo In alto i cuori che esula, a mio avviso, dai suoi temi soliti e recenti. In altre parole: non credo che lei possa essere annoverato fra i cantautori di trincea, eppure in questo disco, spesso e volentieri non le manda a dire ….Bubola: Ho scritto molte canzoni politiche non in senso stretto, cioè affiliate a qualche partito, non ho combattuto in trincea, ma in campo aperto contro un nemico cangiante. La prima fu Canzone del Guerrigliero Cieco nel 1976, poi Coda di Lupo, Quello che non ho, Fiume Sand Creek, Naufragio della London Valour, nell'ottanta Cocis, Giorni Dispari nell'1981, Johnny lo Zingaro, Ombre Rosse, Alì Zazà, Don Raffae', Tutti assolti negli anni novanta. Sto solo sanguinando, Un paese finto, A morte i tiranni in questi anni, tanto per fare alcuni esempi. In ogni epoca le parole hanno un impatto diverso. A volte tiri un sasso e scompare nello stagno melmoso, a volte lo tiri ed è come un colpo di cannone su un'immensa scenografia di cartongesso che crolla giù.
Mescalina: Mi sveli un segreto: come ha fatto però a evitare la trappola della sloganistica, prerogativa della maggior parte delle canzoni di denuncia?
Bubola: Non amo la retorica, perché è nemica della verità e quindi della giustizia. La poesia vera è un raggio laser chirurgico che incide al millesimo di millimetro sul punto preciso. La retorica è generalista e ipocrita e si affida a una sorta di acquiescenza da parte del pubblico destinato, come se l'autore conoscesse già le preferenze dei suoi interlocutori e andasse a parare sul sicuro, gratificandoli secondo i loro gusti grossolani e prevedibili. La poesia di regime è di solito pregna di retorica, perché gli stessi committenti sono giudici, critici e promotori e utilizzatori dell'opera. Certa canzone dichiaratamente politica fu ricca di ampollosità, cosicché brutte canzoni sono state a lungo intonate e celebrate. Ma le brutte poesie e le brutte canzoni sono controproducenti alla lunga, perché invece che avvicinare chi non la pensa come te, scavano dei solchi profondi come trincee.
Mescalina: Già che ci sono insisto sull’argomento: se l’è mai bevuta la frottola gucciniana che a canzoni non “si fan rivoluzioni/ si possa far poesia”?
Bubola: Credo che Francesco abbia scritto la canzone in un momento di rabbia e sconforto. E si evince dal tono dell'invettiva e dall'amarezza delle considerazioni, soprattutto quelle autobiografiche.
Per quanto riguarda la seconda parte dell'affermazione, non sono d'accordo e confermo invece che le canzoni fanno parte della poesia, anzi ne sono state le progenitrici. La poesia non è in sé una patente di qualità letteraria. Ci sono poesie meravigliose e poesie mediocri e inutili, così vale anche per le canzoni. I poeti, oggi, spesso sono più colti di chi scrive canzoni, ma la cultura se non è sorretta dal talento, a volte serve solo a stendere una cortina di profumo su dei fiori marci.
La canzone moderna e contemporanea rispetto alla poesia ha mantenuto le strutture formali, cioè metrica e rima, come nella poesia antica. Quando c'era solo la letteratura orale al tempo dei poeti epici greci come Omero ed Esiodo, la poesia era in metrica e si cantava accompagnandosi con una piccola cetra o arpa o si salmodiava battendo ritmicamente il tempo con un bastone, come facevano i rapsodi, declamando.
Dante e Petrarca scrivono entrambi un Canzoniere, la cui etimologia mi sembra evidente. Fino a fine settecento tutto quello che è poesia, è musicabile e tutta quello che è musica, è poetabile. Una parte della poesia dell'800 e del 900 è divenuta informale, cioè ha abbandonato metrica e rima, ma tanta altra poesia ha continuato a mantenerle magnificamente.
E' stato come l'avvento della pittura astratta, che sembrava cancellasse per sempre quella figurativa, ma poi invece hanno continuato a convivere entrambe assieme.
Nelle giovani letterature come quella brasiliana, americana o russa, poesia e canzone sono equiparate e gli scrittori di canzoni come Chico Buarque, Bob Dylan, Vladimir Visotskij sono considerati poeti a tutto tondo e studiati nelle Università.
Io scrivo anche poesie e non cambio i miei occhi o il mio cuore quando lo faccio, ma è come se passassi da una stanza a un'altra dove la luce cambia, ma la casa rimane. Senz'altro scrivere canzoni è tecnicamente più impegnativo. E' solo in Italia che qualche poeta si sente superiore agli scrittori di canzoni e quest'atteggiamento, oltre che antiumanistico, è senza dubbio ottuso e un poeta può essere qualsiasi cosa: un ladro, un traditore, un assassino, ma non può essere mai un ottuso, sarebbe una contraddizione nei termini.
Mescalina: Per correre in soccorso di chi si ostina a credere nella forza propedeutica di musica e parole: a cosa può servire una canzone (d’autore) al tempo della dittatura pop e dell’assopimento generale dei cittadini-ascoltatori?
Bubola: La canzone fa parte dell'identità di un paese. Non possiamo pensare all'America senza Dylan o Neil Young e alla Francia senza Brassens e Brel. Il fatto che in Italia ci sia stato un vasto dilavamento disinformativo e sotto culturale da parte di Radio e Tv commerciali, ha fatto sì che si siano creati nel nostro paese dei nuovi modelli da seguire, che sono in genere modelli dell'atletismo vocale e del pop.
In una canzone dell'ultimo mio album In Alto i Cuori, c'è un brano dal titolo Un paese finto che dice "Lottavo in un paese finto/ finti politici e finti preti /ed era tutti quanti finti anche i poeti. /Credevo in un paese finto di finti profeti profondi/ dagli occhi azzurro-cielo e i capelli biondi", perché questa sottocultura ha accreditato finti poeti, finti scrittori, finti registi e finti cantanti profondi.
Mescalina: Ho detto prima che non la ritengo un cantautore politico, quanto meno non in senso stretto. Come ha vissuto gli anni in cui l’impegno era un diktat per chi scriveva e cantava canzoni? Come giudica quel periodo?
Bubola: Io l'impegno l'ho sempre considerato nel senso etimologico del termine, cioè dell'impegnarsi a fare qualcosa al meglio di sé per gli altri e per i propri ricordi.
Ci sono state canzoni d'amore come Rimmel che hanno cambiato le coscienze molto più di tante canzoni politiche, perché il potere si diffonde col linguaggio, basti pensare al fascismo con il suo lessico stantio e le sue frasi fatte piene di retorica, ed è proprio nel linguaggio che lo puoi colpire.
Chi usa la retorica, anche a sinistra, è un po' figlio di quella cultura becera e tetragona, invece rompendo il linguaggio e rinnovandolo, realmente combatti per la libertà e l'affrancamento di tutti, anche da una lingua che incatena. Tra l'altro molta di quella canzone politica era composta di brutti testi e melodie trite che tutti quelli di quel credo politico cantavano, ma che oggi, essendo caduti quei presupposti, non canta più nessuno. Le belle canzoni invece sopravvivono ai tempi che le hanno generate, perché riguardano tutti i cuori e tutti i tempi. Credo che creare un ambito di accettazione artistica in base all'ideologia praticata, sia una specie di allevamento di artisti scadenti, che si mettono al servizio proni, come cani da guardia, sapendo bene quando e a chi abbaiare. Un artista che conosce il valore della sua arte non è mai prono o servile. Un artista prono e servile è un artista inutile a sé e agli altri.
Mescalina: La cosa che mi colpisce - da Segreti trasparenti in poi - è l’utilizzo che fa della voce. Nastro giallo e Tre rose (malgrado il fascino naif rimasto intonso) sembrano quasi cantati da un altro interprete. Volevo chiederle com’è avvenuta questa trasformazione: quanto di spontaneo e quanto, invece, di voluto, di appreso, di studiato, c’è alla base di questo suo diverso modo di cantare?
Bubola: C'è solamente un bradisismo naturale nella voce dovuto agli anni. Su Nastro giallo avevo ventun'anni, su Segreti Trasparenti cinquantuno, poi duemila concerti, ventimila sigarette, un centinaio di bronchiti, diecimila bottiglie di vino, cinquemila gin & tonic e qualche secchio di lacrime in più.
Mescalina: La sua scrittura, invece, è sempre stata evocativa, rarefatta, in relazione intrinseca, credo, con la poesia, vedi lo straordinario esempio di Neve sugli aranci. In fase di composizione ho come il sospetto che il testo le venga in mente prima ancora della coloritura armonica. E’ così?
Bubola: Ho di solito scritto le parole e la musica in contemporanea, perché la lingua italiana, cioè il fiorentino, è una lingua difficile e fondamentalmente piana, cioè fatta di parole accentate sulla penultima sillaba, o sdrucciole, cioè sulla terzultima, quindi avendo poche tronche, cioè accentate sull'ultima, a meno che non si ricorra a rime con i verbi al futuro o al passato remoto, il che rende la scrittura molto greve, è una lingua che non è nata per il rock, che invece predilige parole corte e tronche, con rime che si scrivono diversamente, ma si pronunciano uguali, come nella lingua inglese. L'italiano, dicevo, è una lingua che predilige metriche lunghe, come nel melodramma.
Dante ha scritto in endecasillabi, ma l'italiano medievale e rinascimentale aveva molte più parole tronche, cioè accentate sull'ultima sillaba. Io preferisco partire insieme, così non devo mediare o rinunciare a troppo.
Mescalina: Giuro che ho solo due domande sul suo lungo rapporto collaborativo con Fabrizio De Andrè: era alle prime armi quando venne invitato a collaborare a Rimini, e il suo modo di scrivere, a mio avviso risentiva più di Dylan e del primo De Gregori che di De Andrè. Come ha vissuto a livello emozionale il confronto con un nume tutelare della canzone d’autore? Ha, in tal senso, qualche aneddoto da raccontare?
Bubola: I miei modelli in realtà erano Hölderlin, Lorca, Rilke, Dylan Thomas, Yiannis Ritzos, Campana e poi i Rolling Stones che suonavo con la mia band, con molte liriche di Jagger che si rifacevano al romanticismo inglese specialmente Shelley e Keats. Poi ascoltavo Dylan, Cat Stevens, Led Zeppelin, Deep Purple.
De Andrè pur ammirando Dylan non amava il rock, perché risultava estraneo al suo back ground. Una volta mi chiese se Springsteen scriveva testi di buona poesia e, alla mia affermazione, mi chiese - E allora, perché si agita tanto sul palco?-.
Molta musica d'autore italiana aveva questa convinzione cioè che la staticità fosse sintomo di cultura e profondità e il movimento invece era segno di superficialità e scarso spessore. In realtà la letteratura del rock aveva saldato questa schizofrenia tra corpo e anima.
Io che ero fin d'allora definito un cavaliere elettrico, ricordo che venivo guardato con sospetto e poco considerato dai critici gestori dei festival cantautorali di allora che sono gli stessi di adesso.
Mescalina: Forse la sparo grossa, ma un’altra impressione che ho è che la sua frequentazione (e un po’ anche la collaborazione con De Gregori, in Volume VIII) abbia inciso sul modo di scrivere deandreiano. Da un certo momento in poi le sue strofe siano diventate, cioè, meno dirette e più evocative. Concorda con questa lettura? Si sente in qualche modo responsabile di questa sostanziale mutazione di rotta?
Bubola: Non c'è un solo modo di scrivere deandreiano, perché Fabrizio ha cambiato spesso stile, secondo le persone con cui collaborava. Se un giovane sconosciuto come me, ha firmato a poco più di vent'anni i testi e le musiche di tutte le canzoni di due album come Rimini e, l'Indiano, con una persona così affermata come Fabrizio, credo questo sia già in sé un profondo e importante riconoscimento nei miei confronti, a prescindere da chi oggi si attribuisce o attribuisce la sua stima a suo gusto o interesse. A proposito di tutte quelle canzoni, tanta gente questa domanda non se la fa mai e attribuisce al solo Fabrizio queste opere, ma fa un grave errore di superficialità verso la possibilità di sviluppare la conoscenza di nuove poetiche e la possibilità di muoversi in nuovi territori che gli ricorderebbero quelli che ha amato attribuendoli a un solo artista. Questa è un'opportunità che gli si preclude, come la conoscenza della realtà e della verità e senza verità non c'è giustizia e senza giustizia non c'è libertà.
De Andrè, va ricordato inoltre, ha scritto poche canzoni da solo, quindi dentro ogni suo disco ci sono più anime, più cuori e più verità.
Mescalina: A giudicare anche dal suo primo romanzo - Rapsodia delle terre basse - i ricordi d’infanzia, le radici, la Storia, giocano un ruolo significativo all’interno della sua poetica. Che rapporto ha col tempo che passa, e dunque anche con le persone, le cose, le abitudini, le tradizioni, che ci si lascia alle spalle?
Bubola: La scrittura, la documentazione, la poesia sono testimonianze ad futura rei memoriam. Atti di prodigalità di chi non si tiene la propria vita e il proprio tempo solo per sé, ma li condivide.
Quando morì mio padre, ho sentito la necessità di raccontare la sua vicenda, che avevo conosciuto da molto giovane, arricchendolo dei suoi racconti e dei miei ricordi, questo per i miei figli e quelli che verranno, perché c'è un legame profondo di riconoscenza per chi ci ha preceduto e il dovere della memoria e del racconto per quelli che verranno. Nella canzone Coda i Lupo, l'attacco "Quand'ero piccolo, m'innamoravo di tutto correvo dietro ai cani / e mio nonno vegliava sulla corrente di cavalli e di buoi, sui fatti miei e sui fatti tuoi" sono le immagini di mio nonno e della casa patriarcale, dove sono nato e cresciuto. C'è un'altra canzone che ho scritto per Fiorella Mannoia I venti del cuore che è un'altra ricomposizione di quella grande casa e di mio nonno "Ed ogni volta che ti penso eri là/quel sorriso in tasca largo ed incredulo/ quanti bimbi e cani avevi intorno/ e che chiasso di colori al tramonto".
Mescalina: Ritengo le sue storie nere – mi riferisco particolarmente a quelle contenute in Segreti trasparenti e in Ballate di terra e d’acqua – quanto di più vicino allo scavo interiore e dunque, in un certo senso, alla sublimazione della cronaca, ci possa essere. Il motivo di tale alchimia mi sembra risiedere, una volta di più, nella misura con cui riescono a vedersela con le antinomie (amore/morte, salvezza/perdizione). Qualcosa di imparentato stretto con la metafisica. Con le anime segnate dal male, che poi è, anzi tutto, mal de vivre…
Bubola: Le storie scure sono quelle che abbracciano più fortemente la tradizione folk e sono quelle che hanno percorso più strada. Basti pensare che in una piazza del mercato italiana nel medioevo o in una birreria scozzese nel rinascimento, quando un folk singer cantava una storia, non avendo amplificazione, doveva per forza narrare storie molto potenti per attrarre l'attenzione e quel po' di silenzio necessario ad eseguire i suoi brani. Le storie dovevano per forza essere cruente e ricolme di sangue per attrarre una piccola folla che poi fosse disposta a privarsi di qualche moneta. Quindi ho scritto queste ballate di sangue anche per spirito filologico. E' naturale che su questa volontà s'innestassero un po' di autobiografismo e anche altre letterature nere e visionarie come quelle di William Blake o di Allan Poe, ma c'è innanzitutto la tradizione del cantastorie antico. Basti pensare a L'Usignolo e Corvi dal mio album Mon tresòr o Blues di Re Teodorico sul re ostrogoto che regnò sulla mia città, Verona nel V secolo o Capelli Rossi sul caso di stupro con omicidio, dall'album Diavoli & Farfalle, oppure nell'ultimo album Hanno sparato a un Angelo, sull'assassinio della bambina cinese e di suo padre a Roma, l'anno scorso.
Ci sono altre considerazioni da fare poi che riguardano le favole che sono cruente e tragiche per loro natura, c'è allora l'apologo di Sally la bambina che passa dagli zingari al Re Dei Topi o della sirenetta Lorelei che si uccide con un coltello da pirati. Il male, il dolore e l'ingiustizia sono parte integrante della vita e spesso delle esistenze meno visibili e considerate.
Mescalina: Data l’estrazione colta di molte sue ballate non posso non chiederle dei libri che più hanno inciso sulla sua formazione e magari anche sul suo modo di scrivere romanzi, poesie e canzoni. Può farmi almeno tre titoli?
Bubola: Da giovanissimo la lettura dei simbolisti francesi, poi Shakespeare, Dostoevskij, Cechov, Dickens, Borges Eliot, Breton, Hughes, Orlovsky, Ginsberg. Poesia soprattutto, ma anche molti classici.
Mescalina: Per libera associazione mi viene di domandarle adesso degli album fondamentali della sua vita…
Bubola: Exile On Main Street degli Stones, Blond on blond e Blood on the tracks di Dylan, Led Zeppelin II , Deep Purple in Rock , New Skin for the Old Ceremony di Cohen, Thick as a Brick dei Jetrho Tull, Now We Are Six degli Steeleye Span, Catch Bull at Four di Cat Stevens, Rimmel di Francesco De Gregori, If I Should Fall from Grace with God dei Pogues, Murder Ballads di Cave, Vitalogy dei Pearl Jam e cento altri.
Mescalina: Un’ultima domanda, prima di girarle il mio grazie più sincero: sotto il profilo musicale ha mosso dal folk/rock di stampo USA, quindi - col tempo e nel tempo - ha finito col tagliare trasversalmente tutti i generi. Ma c’è una melodia dalla quale si sente particolarmente attratto?, per la quale si sente istintivamente tagliato?
Bubola: Le mie melodie e la mia sensibilità sono invece profondamente venete, perché le prime canzoni che ho ascoltato e imparato a suonare erano canzoni della mia terra e della Grande Guerra che mi cantava mio nonno e mio padre. Ho scelto poi da adolescente la letteratura del rock che si sviluppò fondamentalmente in America, ma con forti radici nel folk europeo, perché la musica è uno dei più identificabili e significativi percorsi antropologici. Credo poi che come nei cocktail internazionali ad esempio il Negroni che ha 1/3 di gin, 1/3 di Campari e 1/3 di Martini rosso, se tu cambi solo uno dei tre componenti, crei un cocktail nuovo. Per questo motivo ho cercato di innestare la musicalità veneta in un contesto di folk rock internazionale ed ho cercato di dare vita a una via italiana al folk rock, una specie di Nuova Epica coma la definisce qualche tuo collega.
Una melodia che amo particolarmente, tra le tante di Mozart, è quella di "Voi che sapete" cantata dal personaggio di Cherubino.