Mark Knopfler The ragpicker´s dream
2002 - WARNER BROS.
Innanzitutto, il chitarrista inglese si è concentrato maggiormente sulla scrittura delle canzoni, finendo per produrre un lavoro quasi a tema, colmo di storie di vita che risalgono idealmente all´inizio del secolo scorso: emigranti, artigiani e lavoratori che si barcamenano tra la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la Germania. L´approccio alla musica è diventato così più folk e la mano di Knopfler dimostra di sentirsi a proprio agio, non solo sul manico della chitarra. Anche quando l´ex Dire Straits dà spazio al suo inconfondibile stile, si avvicina ai passaggi poetici rallentati di "Love over gold" e di "Communiquè" più che a "Making movies" o ai riff di "Money for nothing".
In questo disco emergono nella loro pienezza le capacità di Knopfler come cantautore e come cantastorie, che sono rimaste piuttosto in ombra nella sua carriera, ma che si avvalgono anche delle atmosfere e della cura per certi arrangiamenti fini, appresi lavorando alle colonne sonore ("Local hero" e non solo).
Registrato a Nashville, l´album lascia prevalere la chitarra acustica su quella elettrica, riportando alla mente i Notthing Hillbillies. In più di una canzone suoni e testi gettano un ponte tra il Mississippi e il Tyne, fiume dell´Inghilterra settentrionale, dove Knopfler ha le sue radici: si può parlare tranquillamente di un ritorno alle origini, dato che l´autore usa spesso anche espressioni gergali del suo dialetto del nord.
Si ha così un disco profondo e nostalgico, fatto di partenze obbligate e di ritorni a lungo sognati: logico che il suono mescoli il country-blues di matrice americana con il folk britannico.
Una piccola sopresa è "A place where we used to live" per la prova al canto di Knopfler, con toni caldi e raffinati, davvero pregevoli. A ben guardare, è la stessa ricercatezza che percorre tutto l´album, dall´oggettistica quotidiana dei testi, ai suoni acustici del bouzouki e dell´armonica.
Rompono l´incantesimo "You don´t know you´re born" e "Coyote", due pezzi incerti dal sottile andamento pop, del tutto fuori dal contesto, che meglio sarebbe stato eliminare dal disco. Il discorso viene subito ripreso con le ultime tre canzoni: la title-track, il vaudeville swing di "Daddy´s gone to Knoxville" e "Old pigweed", un quadretto cantautorale in cui il sapore del goulash e della torta di mele diventano metafora di una quotidianità che è storia.
Così "The ragpicker´s dream" si avvicina, ma si diversifica anche dai dischi di Graham Nash, di Art Garfunkel e di Jackson Browne, usciti quasi in contemporanea, per un ideale ritorno di classici vecchietti. Peccato per quei due brani scempio, ma, si sa, Knopfler ha spesso ceduto alle tentazioni del pop: fortunatamente ora che la carne comincia ad indebolirsi, sono la saggezza e l´esperienza a prendergli la mano.