Mark Knopfler Privateering
2012 - Mercury
A sostenere il compassato Mark, tanti compagni dei recenti tour con Bob Dylan, come il tastierista e coproduttore Guy Fletcher e il duo Michael McGoldrick-John McCusker, che provvede dove serve al background sonoro scoto-irlandese, con dovizia di cornamuse, cetre e violini; ma a giganteggiare, dietro le quinte, è un session man di lusso come Kim Wilson: l'ex Fabulous T-Birds lascia il segno indelebile della sua armonica, tra riff e assoli che sono una collezione di ritmi e stili. E poi c'è la chitarra, che ritroviamo, senza troppi indugi, subito dopo la prima strofa di Redbud Tree, pezzo d'apertura: lo stile e il timbro (quasi un trillo) fanno di MK uno dei pochi solisti chiaramente riconoscibili fin dalla prima nota.
Per orientarsi tra le venti tracce basta riavvolgere il filo rosso delle passioni e delle frequentazioni del Knopfler solista, da quando nel 1995 ha smesso senza rimpianti i panni della rockstar. L'omaggio al folk irlandese, meno essenziale di quanti sembri ai primi ascolti, si risolve in pochi brani (Haul Away, Yon Two Crows, Kingdom of Gold). C'è poi un vasto assortimento di blues, alcuni più canonici e forse routinari (Don't Forget Your Hat, Hot Or What, Got To Have Something, Today Is Okay), altri ispirati a J.J. Cale. I primi levigano materiale grezzo e lo ripropongono in confezione deluxe; i secondi suonano particolarmente ispirati, dal blues desertico e western di Blue Bird al puro laidback style di Go, Love, tranquilla progressione in perfetto controllo, con poche note di grande eleganza. L'altro riferimento è Bob Dylan, compagno di scorribande concertistiche, ed è impossibile non sentire i richiami al Menestrello di Duluth nel torrido e velenoso rock-blues Gator Blood, che scava in profondità verso dopo verso, completato da una slide guitar in chiave rumoristica.
Ad alzare il tiro sono però le canzoni distillate dalla storia dei Dire Straits (come i riff ballabili e rock'n'roll di Corned Beef City e I Used To Could) e dalla pluridecennale esperienza di compositore di colonne sonore. Seattle, eterea traccia pop, chiude il primo cd nel segno di una melodia leggera e cantabile. Dream Of The Drowned Submarine ha un tono sospeso, fantastico, rifinito da un delicato controcanto del clarinetto. Blood And Water, quasi sussurrata, si distingue per il riuscito intreccio di stili (quasi un salto) tra strofa e ritornello, dal blues a un più sostenuto swing. Ma è Radio City Serenade, romantica e dolcissima epifania sonora in bianco e nero, il culmine di tutto Privateering: introdotta dalla tromba di Chris Botti, si muove in perfetto equilibrio tra l'intimità di piano, chitarra e voce e il “pieno orchestrale” finale di archi e fiati. Un piccolo capolavoro che non può mancare nella top ten delle canzoni 2012.