John Mellencamp Plain Spoken
2014 - Republic Records
"Ho un'agenda con 85 nuove canzoni che ho scritto per il mio prossimo disco”. Anticipando l'uscita di Plain Spoken, il “Coguaro”dell'Indiana se ne uscì così, con parole propizie, tramutando il silenzio degli ultimi anni nei ricordi ancora vivi legati all'ispirazione autentica, come quella di Life, Dead, Love, and Freedom (2008), dove Mellencamp è riuscito a rinnovarsi in un modello folk capace di stare, in termini di qualità, appena sotto i suoi capolavori, ovvero Scarecrow e The Lonesome Jubilee.
Prodotto dallo stesso autore e registrato nel Belmont Mall Studio (Indiana), il nuovo disco è fortemente legato alla tradizione americana, del folk, di Dylan, dove la parola roots, pur perdendo i riferimenti rock degli Stones, trova valore in contesti più riflessivi e autentici, in sapienti arrangiamenti acustici che incantano per gli equilibri e le soluzioni mai banali, alla ricerca di una classicità che in realtà gli appartiene da sempre.
Va detto però che le liriche, pur nella loro varietà, non riescono più a sorprendere, e le melodie talvolta ricalcano linee passate con la voglia mai sopita di ricreare un’altra Pink Houses o una Paper in Fire. Vocalmente, Mellencamp è sempre sul pezzo, ispirato e senza fronzoli, un esempio formale, con quella ruvida e tagliente forza espressiva che, nel suo genere, può essere paragonata a gente come Springsteen e Westerberg.
Nel singolo Trouble Man, c'è ancora la delusione di un'America con problemi sociali mai risolti, tra disagi urbani e intellettuali, rimorso e sofferenza: “Ho sempre trovato difficoltà / anche al mio meglio/ nessuna speranza per ottenere di più / fino a quando mi hanno lasciato riposare/ io sono un uomo tormentato“.
L'incessante, coinvolgente marcia folk di Company of Cowards, scarica la sua rabbia con voce cartavetrata, con incroci di chitarre acustiche tra i fraseggi e una batteria scolpita che non cede di un millimetro; mentre il ritmo saltellante di Sometimes There’s God, vive nell'immediatezza melodica dipinta con segni colorati di flebile sollievo "A volte Dio c'è / quando la malattia è guarita". Se le note un po' scontate di Tears in Vain, sono un beffardo resoconto del suo matrimonio finito dopo diciotto anni, il riflessivo folk pianistico di The Brass Ring brilla e vive del fantasma di Tennessee Williams, mentre Freedom of Speech si tinge di retorica e la straziante Blue Charlotte, ricalcando fin troppo la stessa melodia, scorre la scena di un marito che assiste la moglie negli ultimi giorni di vita.
La finale, blueseggiante Laweless Times, che si eclissa in un ritornello circolare, quasi ossessivo, con riferimenti chiaramente politici, è descritta con toni amaramente umoristici: "In un primo momento avevo 30 versi, poi ho usato quelli che pensavo fossero divertenti"; una società immorale, senza leggi adeguate, regno di intercettazioni telefoniche e furti digitali.
Con gran mestiere e immutata integrità artistica, Mellencamp raffina i colori delle ultime sue uscite, magari talvolta sostituendo l'olio con i pastelli, in un quadro bitonale dove l'atmosfera ha sempre più forti, autentiche sembianze roots velate in parte da una misurata dose di routine. Un disco tosto, come sempre.