
Bocephus King Amarcord
2013 - Appaloosa / IRD
Bocephus è uno dei nostri eroi fin da quando il mensile Buscadero gli dedicò la copertina chiosando: “È la seconda volta che mettiamo un artista sconosciuto in copertina. La volta scorsa era toccato a Tracy Chapman”. Con un po' di autocontrollo e disciplina non sfigurerebbe davanti ai più grandi, perché il suo talento è all'altezza di quello di Tom Waits (a cui è stato spesso avvicinato), Bruce Springsteen, Ry Cooder, Los Lobos e altri “campioni” anche fuori dal recinto dell'Americana. Curioso di tutto, fantasioso, creativo, debordante, è capace di registrare di punto in bianco l'intero Street Legal (1978) di Bob Dylan con due musicisti indiani conosciuti quella sera per caso: ne abbiamo un piccolo saggio nella bonus track finale, una versione di Seňor che potrebbe apprezzare anche zio Bob. Il disco da cui proviene sembra essere uno specie di ossessione per Bocephus, ma per capire al meglio quanto di Dylan c'è in lui bisogna affiancargli anche il precedente Desire (1975). Il suo stile è frutto di un'affascinante contaminazione di generi e stili: la base blues e soul alla Tom Waits da cui è partito è approdata a un songwriting personalissimo, dove le influenze iniziali restano solo una traccia di fondo, integrate da una fortissima passione per le sonorità spagnole e gitane e da languide cadenze orientali. Bocephus gioca con i generi e li mischia in un caleidoscopio di suoni e colori godibilissimo, privilegiando i tempi medi e dispari e un accompagnamento ritmico soffuso, senza forzature.
E così tutto questo Amarcord scorre via piacevole, mantenendosi ad alti livelli tranne che per qualche ingenuità da ventenne alla prima prova, come nella fragile Lay Down, o per il passeggero innamoramento con i campionamenti e l'elettronica del quarto disco (All Children Believe In Heaven), di cui ascoltiamo Goodnight Forever Montgomery Clift e Jesus The Bookie. Una tentazione che svanisce subito nell'ultimo, eccezionale Willie Dixon God Damn! (2011). Lungo le 16 tracce la caccia alle influenze e alle ispirazioni è un gioco stimolante e non sempre facile, perché Bocephus è bravissimo a mischiare le carte in tavola. L'iniziale On The Hallelujah Side è una preghiera gipsy alla luna per voce e violino (l'ottimo Jesse Zubot), mentre Juanita è puro Tom Waits rochissimo e stradaiolo, una “mandolin song” latina e sensuale fin dal titolo. Poco più avanti, Blues For Buddy Bolden (uno dei pezzi migliori) richiama gli accordi folk di Ry Cooder, ma il ritmo incalzante e la chitarra di Steve Dawson oscillano verso il rock. C'è poi un terzetto di brani da The Blue Sickness (2000, il terzo disco), e The Way The Story Goes ci trasporta in un locale del profondo sud all'ora di chiusura: tra jazz e blues, sarebbe stato un esercizio straordinario per uno come Cab Calloway. Con Eight And A Half entrano in campo gli echi morriconiani – soprattutto i coretti femminili – perfetti per la scrittura cinematografica (anche dei testi, colmi di immagini e metafore non facilmente decifrabili) del nostro: non a caso, nella recente intervista a Mescalina, Bocephus cita il maestro tra le sue influenze. E Morricone torna in filigrana in tutto Willie Dixon God Damn!, qui rappresentato dalla title track, un demo inedito e Cowboy Neal. Tutto quel lavoro è una prova di straordinaria ricchezza, sostenuto da una voce fattasi matura e capace di svariare a piacimento, una produzione solida e arrangiamenti che dipingono un quadro di eccezionale varietà cromatica. Poi la già citata Seňor chiude a sorpresa questo denso Amarcord, che alla nebbia della Romagna felliniana sostituisce una calda rappresentazione del meglio della musica americana, “firmata” da un canadese. Per chi non conosceva James Perry aka Bocephus King sarà come ascoltare un fiammeggiante disco nuovo.