Willie Nile Streets of new york
2006 - EVANGELINE / I.R.D.
Non lo si può presentare altrimenti dopo una carriera che lo ha visto esordire nel 1980 e spendere i successivi vent’anni a resistere in nome della sua musica senza mai concedersi alle regole del music business: questo lo ha portato a scomparire per lunghi periodi di tempo, ma gli ha anche permesso di rimanere integro e fedele a sé stesso.
“Streets of New York” viene a ben sette anni di distanza da “Beautiful wreck of the world” e come quel disco vive di un’energia ritrovata, mai perduta, alimentata in silenzio: anche se elogiato da Bono, Lou Reed e Lucinda Williams e circondato da una serie di ospiti da fare invidia a molti (tra gli altri Larry Campbell e poi Jakob Dylan e Rami Jaffee dei Wallflowers), Willie Nile è un musicista garbato ed educato che sembra vivere fuori dal tempo, salvo poi tornare ogni volta con un pugno di canzoni estremamente vive ed attuali.
Questa volta ha a disposizione una band con un certo Andy York alle chitarre e Rich Pagano alla batteria e si sente sin dall’apertura di “Welcome to my head” con un mulinare di chitarre e un testo che arriva a menzionare Jean-Paul Sartre alla maniera dell’Elliott Murphy più rock.
“Streets of New York” è un disco con una forza omogenea e, anche se non ha i pezzi sferzanti dei tempi di “Willie Nile” e “Golden down”, cresce ad ogni ascolto con una serie di brani colmi di rock d’autore. I punti di riferimento stanno nel drive della E Street Band, nelle ballate di Dylan e del primo Springsteen, in certi giri alla Byrds e negli slanci prorompenti dei Clash, di cui è rifatta una “Police on my back” in memoria di Joe Strummer, eppure Willie Nile assembla il tutto con un mestiere ed una ricercatezza che lo rendono un signore del rock.
I brani sono sviluppati in modo ampio e spesso corale, con carrellate di immagini e di personaggi che offrono una critica cosciente del mondo. Il suono mira a creare un corpo ricco e propulsivo: spiccano “The Day I Saw Bo Diddley In Washington Square”, che tra colpi e flessioni prende un giro quasi celtico grazie al cittern di Campbell e “When one stands” con un piglio reggae graffiato dalle chitarre e da un trombone. Notevoli anche le ballate melodiche, ma il vero pezzo forte è “Cell Phones Ringing (In The Pockets Of The Dead)”: tra un battere ruvido e sbotti aumentati dal wurltizer squilla un suono di telefonini che richiama le vittime dei troppi attentati terroristici.
Azzeccato anche l’artwork con scatti in bianco e nero: gli anfibi fotografati sul retro della confezione sono simbolici della personalità di Willie Nile, uno dei pochi che oggi riesce a dare vita alla forza comunicativa del rock. E soprattutto uno che con le sue gambe e con un passo tutto suo ha ancora tanta voglia di camminare libero per quelle strade che sono metafora del mondo.