Willie Nile

interviste

Willie Nile Per le strade di New York

18/09/2006 di Christian Verzeletti

#Willie Nile#Americana#Songwriting

      
  Per le strade di New York
      Intervista a Willie Nile

Stavolta Willie Nile sembra essere tornato definitivamente in pista grazie all'ultimo "Streets of New York" e a "The Arista Columbia recordings 1980-1991", ristampa che raccoglie i suoi primi tre dischi. In attesa di vederlo presto dal vivo, lo abbiamo contattato per una chiacchierata.


Mescalina: Willie, l'ultima volta che ci siamo sentiti era appena dopo l'11 settembre e in quell'intervista avevamo parlato di ciò che era successo a New York: cosa è cambiato da allora?
Willie Nile: Da quel giorno è cambiato tutto nel mondo: adesso ovunque c'è un senso di paura, di un mondo impazzito, guidato da politici che non hanno la minima idea di cosa fare. Soprattutto bisognerebbe chiedersi che cosa è successo alla compassione e alla comprensione di noi uomini: è come se tutti i valori fossero stati invertiti.

Mescalina: Tu quest'anno hai pubblicato un disco intitolato "Streets of New York" che è una dedica alla città in cui vivi …
Willie Nile: È da tanti anni che vivo a New York e ho imparato ad amare questa città: è magica e possiede una qualità davvero cosmopolita. A volte può essere oscura e pericolosa, ma splende anche di una luce tutta sua. Non sono partito con l'idea di scrivere un disco su New York, ma le canzoni che sono entrate a far parte di questo album sono state scritte qua e riflettono le esperienze che ho vissuto in questa città ed è per quello che ho scelto questo titolo.

Mescalina: Sai, prima di questa intervista sono andato a riascoltarmi i tuoi vecchi dischi e mi sono accorto che tu hai fatto "Beautiful wreck of the world" proprio prima della fine del secolo scorso: un titolo che adesso suona tristemente profetico…
Willie Nile: Sì, purtroppo sì. Ma io non ho perso la speranza: spero che riusciamo a rimettere sulla giusta rotta questa nave che va alla deriva prima che sia troppo tardi. Io ci spero ancora o almeno non sto ancora trattenendo il fiato.

Mescalina: Anche "Hard times in America" è stato un altro titolo emblematico, ma alla tua musica non è mai mancata la forza della speranza …
Willie Nile: Sì, c'è qualche lampo di speranza che arriva ad illuminare tutto ogni tanto. E di solito capita quando mi metto a bere tequila!

Mescalina: Allora bisognerebbe offrirne un po' ai grandi leader del mondo! … ma veniamo a questo disco che prova il tuo amore per New York: stavolta il messaggio di speranza è forse più chiaro?

Willie Nile: Sì, anche se non mancano alcuni pugni nello stomaco.

Mescalina: E anche un bel po' di romanticismo: anche quello non ti è mai mancato, un po' come in certi dischi di Springsteen … forse proprio la title-track è la canzone più romantica e più carica di speranza di tutto il disco …
Willie Nile: Sì, è una delle mie canzoni preferite del disco. Conosco perfettamente tutti quei posti di cui canto: per me è come correre tra le braccia di una vecchia amante nel tepore di una notte calda.

Mescalina: Dall'altra parte della strada invece ci sono alcune immagini spietate e tremendamente reali come in "Cell Phones Ringing (In The Pockets Of The Dead)" che fa riferimento alle bombe di Madrid, all'11 settembre e credo a tutti gli attentati degli ultimi tempi …
Willie Nile: Guarda, io abito ad un paio di miglia dal World Trade Center e ho sentito con le mie orecchie lo schianto del secondo aereo quel giorno: quando sono uscito in Bleeker Street, ho visto le torri bruciare. Ho anche perso un mio vecchio amico, Jeff Hardy …
Mescalina: Sì, me ne avevi parlato …
Willie Nile: Jeff era un bassista, ma lavorava anche come direttore esecutivo al 105esimo piano della prima torre. Quattro giorni dopo io ero sul primo volo che partiva dal JFK, diretto in Spagna dove dovevo fare un piccolo tour, e si vedeva ancora la colonna di fumo che saliva verso l'alto mentre decollavamo. Poi la notte seguente, a Madrid, mi ricordo di quanto ero colpito dal fatto che la gente dimostrasse tanto interesse e tanta pietà per le vittime di quella tragedia. E anche in Spagna c'era lo stesso tipo di reazione sempre più diffusa: era come se la gente volesse prendersi più cura di chi aveva accanto e questo mi impressionò molto. Così quando seppi delle bombe sui treni a Madrid, mi venne subito in mente la gente che avevo incontrato e mi chiesi se qualcuna di quelle persone o delle loro famiglie fosse rimasta coinvolta nell'attentato. Due giorni dopo lessi il titolo di un giornale qui a New York che diceva: "Cell phones ringing in the pockets of the dead (Cellulari che suonano nelle tasche dei morti)" e l'articolo parlava di 190 persone decedute e allineate nelle body bag vicino ai binari con i cellulari che continuavano a suonare. La cosa mi colpì e mi fece anche infuriare al punto che cominciai subito a scrivere quel pezzo che poi è entrato a far parte del disco proprio con quel titolo. È il mio modo di ribellarmi: non sopporto tutte queste morti e tutta questa merda. Credo che ci sia del marcio da entrambe le parti in conflitto e che entrambe abbiano torto: il problema è quando mai lo capiranno. Quando canto questa canzone, dico al pubblico tutto questo, mi ribello con tutte le mie forze e alla fine mi trovo sempre con la gente che canta il ritornello con me. È come se anche loro fossero pronti a schierarsi e a combattere questa grande follia.

Mescalina: Ho notato che spesso metti in scena una processione di immagini e di personaggi opposti l'un l'altro … per esempio lo fai in "Welcome to my head", in "The day I saw Bo Diddley" e in "Cell phones": è un modo per descrivere questo mondo impazzito?
Willie Nile: Credo che sia perché c'è sempre una processione di immagini e di personaggi in contrapposizione tra loro là fuori nel mondo; almeno questo è quello che vedo quando lascio per un attimo la chitarra e mi metto ad osservare cosa mi succede attorno.

Mescalina: Spesso Bob Dylan, e non solo lui, scrive in questo modo e proprio Dylan mi è venuto in mente nell'ascoltare "Back home", che potrebbe essere un pezzo autobiografico …
Willie Nile: Sì, è un pezzo autobiografico anche se mi sono preso alcune libertà. Bob è certamente stato una delle mie influenze più grandi, lui è lo Shakespeare del rock'n'roll. Ma anche i poeti Beat, come Corso, Ginsberg e gli altri, mi hanno ispirato molto. Così come Walt Whitman e William Blake.









Mescalina:
Volevo chiederti di una canzone in particolare, "The day I saw Bo Diddley in Washington Square": si tratta di una metafora, di un sogno o di che altro?
Willie Nile: Io abito appena girato l'angolo a Washington Square e un giorno, mentre camminavo per MacDougal Street, ho visto una persona di colore con un enorme capello nero che avanzava lungo la strada e l'ho subito riconosciuto: era Bo Diddley. Bo Diddley nella mia tana: quella sì che era una visione! Qualche settimana più tardi ero in giro con il mio co-autore Frankie Lee: ci stavamo facendo qualche drink, mentre lavoravamo su un pezzo, e io gli ho accennato al fatto che avevo visto Bo Diddley e la cosa curiosa è che l'aveva appena visto anche lui dalle parti del parco. In breve siamo venuti a sapere che Bo sta in un hotel lì vicino, quando si trova in città. Ci è venuto in mente di scrivere qualcosa in suo onore e ne è venuta fuori una canzone che descrive una giornata attraverso gli occhi di un poeta allucinato.

Mescalina: E la canzone è un modo per rimanere attaccati ad un passato che sta scomparendo? Bo Diddley come un vecchio spirito che ti appare nel cuore di una morente città moderna?

Willie Nile: … direi di no. È più una canzone irlandese, di quelle buone per farsi una bevuta per poi trovarsi a ballare sotto le stelle e chiedersi quale sia il senso della vita, il tutto mentre Bo Diddley fa la parte di una voce fuori campo.

Mescalina: Anche in questo pezzo si parla di New York, ma tu in realtà hai sempre cantato questa città dai tempi di "Old Men Sleeping on the Bowery" …
Willie Nile: Sì, New York è un buon posto per uno scrittore: c'è sempre qualcosa che sta per succedere.

Mescalina: Ad ogni disco tu ricevi i complimenti da parte di Bono, Lou Reed, Lucinda Williams e sei stato invitato più volte sul palco anche da Bruce Springsteen … nonostante tutta questa stima non hai però raggiunto lo stesso loro successo: come te lo spieghi?
Willie Nile: Bè, dipende anche da cosa si intende per "successo". Per me il successo è quando finisco una canzone che riesce in qualche modo a parlarmi e a dirmi davvero qualcosa. Il fatto che poi la sentano dieci persone o dieci millioni di persone non cambia una sola nota né tantomeno il significato di quella canzone. Anche se la ascoltano solo poche persone, ma quelle poche ne sono stimolate, per me è già un gran successo. La differenza sta nella qualità del lavoro, non nella quantità dei cd venduti. Ovvio che mi piacerebbe essere ricco sfondato, ma mi considero già fortunato a poter vivere di musica e ad avere dei grandi amici che mi sostengono continuamente come Bruce, Bono, Lucinda, Lou Reed e Jim Jarmusch. Può sembrare strano che un ragazzo di Buffalo, che sognava di fare musica e di pubblicare qualche disco, sia salito sul palco a cantare con Bruce davanti a 60.000 fan scatenati allo Shea Stadium. Comunque non mi interessa essere un idolo degli americani o qualcosa del genere. Io voglio solo che le canzoni che scrivo abbiano le ali e riescano a pungere; voglio che i miei concerti lascino qualcosa a me e alle persone che sono con me nel locale, non importa quanto sia grande il posto. Per ogni giorno che passa io voglio vivere abbastanza da riuscire a fare uno "Streets of New York", il disco che ho sempre sognato di fare. Questo è il successo e questo è l'obiettivo che mi pongo tutti i giorni.

Mescalina: Però rispetto ad altri musicisti cresciuti come te negli anni '70, penso per esempio ad Elliott Murphy, tu sei rimasto più nell'ombra … anche perché hai fatto solo sei dischi in venticinque anni …
Willie Nile: Credo che questo sia dovuto proprio al fatto che mi piace stare nell'ombra. Però negli anni a venire dovrei riuscire a pubblicare più dischi di quanto fatto finora. Comunque alcune persone precedono più lentamente di altre, ma per quanto mi riguarda questa è una cosa che cambierà di sicuro.

Mescalina: Comunque si sente sempre che vieni dal punk e da quel periodo rock partito dalle ceneri del punk: i tuoi vecchi dischi ne sono una prova, ma anche in questo c'è del rock, del punk e anche del reggae …
Willie Nile: Sì, mi piacciono tutti i generi di musica e queste canzoni sembravano amalgamarsi davvero bene. Sono attirato dalla varietà: è quella che provoca il mio interesse.

Mescalina: Chi non ti conosce bene forse non si sarebbe aspettato una cover di "Police on my back" dei Clash …
Willie Nile: È un pezzo che avevo registrato per un tributo a "Sandinista!", solo che ne è uscita una versione che mi è piaciuta tanto da volerla mettere a tutti i costi in questo disco. Quel disco tributo a "Sandinista!" dovrebbe poi uscire l'anno prossimo.

Mescalina: Per certi versi questo disco mi è sembrato più simile a "Beautiful wreck of the world", anche se è più intenso: volevo chiederti come ti è venuta l'idea di mettere una citra su "The day I saw Bo Diddley" e un trombone in "When one stands" …
Willie Nile: Larry Campbell, che è davvero un musicista d'alto livello, ha suonato in alcune canzoni del disco ed è stato lui a portare la citra per "Bo Diddley": è stata una sua idea e ha funzionato alla grande. Per il trombone invece volevamo un assolo con un andamento più "ubriaco" e Fred Parcells dei Black 47 è davvero riuscito a cogliere nel segno.

Willie Nile: Ehi, mi accorgo solo adesso che in questa intervista andiamo sempre a finire di parlare di alcolici. Signor barista: one for the road!
Mescalina: Vorrà dire che dovremmo trovarci a bere insieme qualche volta!

Mescalina: E che mi dici invece di Jakob Dylan, Larry Campbell e Rami Jaffee e degli altri che hanno suonato sul tuo disco: sono tutti amici che hai in città?
Willie Nile: Esatto. Jakob e Rami dei Wallflowers sono stati tutti e due molto gentili a suonare nel mio disco, anche se io ho sempre un po' di timore a lavorare con loro: Jakob è un vero poeta e Rami è un maestro dell'organo.

Mescalina: Mi ricordo ancora un tuo concerto durante il tour di "Beautiful wreck of the world": questa volta non hai in programma di venire a suonare in Europa e magari in Italia?
Willie Nile: Dovrei essere in Inghilterra a novembre: parteciperò ad un piccolo tour di tre serate in beneficenza per il morbo di Parkinson a Londra, Barcellona e Roma rispettivamente l'8, il 9 e il 10 dicembre insieme ad altri songwriter tra cui Jesse Malin, Joe Grushecky e Joe D'Urso. Poi spero di fare un tour in Spagna e in Italia l'anno prossimo, anche perché il pubblico lì è composto da veri rocker.