Terje Nordgarden Terje nordgarden
2003 - STOUTMUSIC / AUDIOGLOBE
In effetti la musica di questo giovane norvegese è fondata su ballate costruite sulla chitarra acustica e su una voce dall’ampia portata, ma nel disco la proposta si fa più articolata. Già la presenza di Paolo Benvegnù (ex Scisma) è una garanzia di un lavoro sobrio e mai scontato sugli arrangiamenti; a questo aggiungete una band fatta di amici incontrati lungo la strada, soprattutto italiani, tra cui, oltre allo stesso Benvegnù, anche Andrea Franchi, e non ci vuole molto a intuire che lo spessore di questo esordio va oltre il “semplice” pugno di canzoni da club londinese.
Nordgarden mantiene uno sguardo fortemente essenziale, con linee strumentali raffinate, e allo stesso tempo riesce a spaziare con grande sensibilità, trasmettendo tutta la profondità delle proprie influenze e delle proprie esperienze.
I riferimenti principali sono Nick Drake e la famiglia Buckley, ma non si pensi al solito cantautore dall’indole malinconica, perché queste canzoni hanno un estensione che avvicina anche il pop dei Beatles o il folk evoluto di gente come Brychan. “Terje Nordgarden” è un disco forte di così tante sottigliezze che vi si respira un’afflato europeo, proprio di chi ha viaggiato a lungo e riesce a descrivere i luoghi della propria anima, come se fossero ognuno un paese diverso.
Basta accomodarsi sulla poltrona che trovate in copertina al disco e questo biondo ragazzotto vi trascinerà in strada, nascondendovi l’attrito dell’asfalto con le sue canzoni. “Winter mourning” ha la cadenza di un Chris Cornell solista in pace con se stesso, poi subito il disco dimostra evoluzioni che vanno oltre la classica intimità cantautorale: sin da “The last song” si fa avanti un suono in cui entrano a turno cori, tastiere (wurlitzer, piano rhodes, mellotron, organo, piano), fiati e anche qualche arco.
Si ha l’impressione di un folk che è contemporaneamente da camera e da strada: se “Sometimes” ricorda le movenze nordeuropee di Bert Jansch o di Brychan, “2nd flight” e “This time” non fanno rimpiangere il ricordo di Jeff Buckley, mentre “These memories” è uno swing di gran classe su cui si muovono in libertà i tocchi di un piano rhodes.
Senza mai andare sopra le righe, prima una tromba, poi il glockenspiel e il theremin conducono rispettivamente “Something else in mind” e “Nothing comes that easy” su vette suggestive. Il disco si chiude con “Paint you a picture”, una jazz ballad, che finisce per assomigliare a un’inedito dei Beatles con tanto di battimano e cori finali.
Anche se il suo nome non è così semplice da pronuciare, Terje Nordgarden è un cantautore di cui bisognerebbe cominciare a parlare. E magari prendere nota.