Terje Nordgarden A brighter kind of blue
2006 - Stoutmusic / Audioglobe
“A brighter kind of blue” è difatti un album più solitario rispetto all’esordio che nel 2003 ci aveva fatto conoscere questo giovane songwriter norvegese. L’album si avvicina al modo spoglio con cui Terje propone spesso le sue canzoni dal vivo, creando un contesto intimo e definito, tuttaltro che fragile, come ben sa chi ha assistito anche ad una sola delle sue esibizioni nel nostro paese.
Balza all’occhio che stavolta non sono stati coinvolti musicisti italiani, ma alcuni norvegesi: Pete Hanafin (violino), Julie Lillehaug Johnsen (vocals), Arvid Solvang (percussioni) e soprattutto Peder Oiseth, che, oltre a tromba e voci, si è occupato della produzione.
La formula mette in risalto la bontà delle canzoni e delle interpretazioni di Nordgarden, che ha modo di esprimere al meglio il suo raffinato senso romantico.
Chitarra e tromba introducono subito nel migliore dei modi distendendo il tema melodico della title-track: a sentire come la voce di Terje si snoda decisa viene da pensare che esistono ancora songwriters baciati da qualche musa.
Il ragazzo deve aver appreso parecchio da Elliott Smith e dai Beatles più acustici: la sua qualità è ormai cristallina come quella di un Ron Sexsmith o di un Sondre Lerche e si fa spiccata quando solleva i brani sulle arie della tromba e delle vocals. Proprio queste sfumature rendono ancora più suggestive le canzoni raddoppiandone l’effetto soprattutto in “Good things die”, “Blessed” e “Metronome”, una sequenza che ha del sublime per come invita ad ampliare l’ascolto, anche quando l’esecuzione prende una via esclusivamente strumentale.
Nordgarden poi è abile a variare quanto basta per offrire in ogni traccia un particolare diverso: dei tocchi di banjo in “The gift of song” e “My father the sailor”, un mandolino in “To the river” e un filo d’organo in “What would ol’ Bob say?”. Con la semplicità di un consumato songwriter fa volteggiare “Monday” come fosse un classico, quasi solfeggiato, e chiude con una “Weeks at a time” che suona come un omaggio al miglior folk anglofono.
“A brighter kind of blue” non è uno dei tanti dischi malinconici a cui ci siamo abituati negli ultimi anni. E il suo autore non è l’ennesimo cantautore con una vena acustica fragile.
Qua c’è la conferma che Terje Nordgarden ha del talento.