Ryan Adams Jacksonville city nights
2005 - LOST HIGHWAY
Prima però di cominciare a fare le pulci anche a “Jacksonville City Nights”, diciamo che questo è il miglior disco di Ryan Adams dai tempi dell’acclamato “Gold”. Non è un capolavoro, ma almeno non è raffazzonato come “Demolition”, in posa come “Rock’n’roll”, diviso da mosse di mercato come “Love is hell” e nemmeno così sfacciatamente di mestiere come “Cold roses”.
È un disco onesto e dignitoso, a tratti anche ispirato e toccante. Poi si potrà dire che anche in questa occasione Ryan Adams sta giocando a recitare la parte di qualcun altro (to play, come dicono gli inglesi) ed è vero perché in fondo mai era sembrato emulare Graham Parsons in modo così limpido.
Si potrà dire che Ryan Adams ha fatto un disco di maniera ed anche questo è vero perchè nello specifico questo è un disco molto country ed honky-tonk oriented.
Si potrà criticare la presunta trilogia, che ha avuto il suo primo capitolo in “Cold roses” e che dovrebbe concludersi con un altro disco nel 2006, ed anche questa è un’obiezione fondata, perché le ripetizioni ci sono, eccome. Ma bisogna ammettere che “Jacksonville City Nights” è un disco ben costruito, con una linearità che lo rende apprezzabile e credibile.
Quindi bando alle chiacchiere: Ryan Adams è tornato a quello che sa fare meglio, ovvero calarsi in una manciata di pezzi dai toni fortemente country, fortemente retrò nel loro essere americani.
Già la copertina, anche questa la sua migliore degli ultimi anni, è una dichiarazione d’intenti: una ragazza appoggiata al bancone di un bar, un bicchiere quasi vuoto e un vetro rotto sono immagine di un romanticismo disperato. Proprio questa desolazione è la chiave del disco e avvicina “Jacksonville City Nights” a certi dischi country d’una volta, magari suonati da un vecchio juke-box. Ovviamente è solo una questione d’atmosfera, perché Hank Williams, Waylon Jennings, Willie Nelson e compagnia stanno da un’altra parte.
Però Ryan Adams è tornato a centrare un disco: merito della band che ormai lo segue con costanza, ma merito soprattutto suo che si cala nella parte delle canzoni interpretandole con passione, modulando dolcezza ed amarezza alla perfezione come fa in “A kiss before I go” e in “The end”, dosando con parsimonia anche gli archi in “Dear John” e in “The hardest part”. Ma soprattutto commuovendo come non gli riusciva da tempo con “Withering heights” e “Don’t fail me now”.
“Jacksonville City Nights” è un disco da sorseggiare soli, meglio se a tarda notte, quando i sensi sono più inclini all’abbandono.