Cold roses<small></small>
Americana

Ryan Adams Cold roses

2005 - LOST HIGHWAY

04/08/2005 di Christian Verzeletti

#Ryan Adams#Americana

C’è qualcosa che sfugge in Ryan Adams. Non è solo la fatica che si comincia a percepire per stare al passo con le sue uscite. Non è solo il tentativo che bisogna fare per comprenderne la logica o per accettare l’ambizione che le spinge. È qualcosa insito nelle sue canzoni che disco dopo disco scappa via, le lascia passare senza lasciare un segno preciso. Probabile che la causa stia nella tanto acclamata vena creativa di Adams, che ultimamente lo ha portato a pubblicare con tempi frenetici: prima una raccolta di scarti come “Demolition”, poi un disco asettico come “Rock’n’roll” e quindi un paio di mezzi dischi poi puntualmente ristampati in uno unico (“Love is hell”). Ora è arrivato un nuovo doppio, “Cold roses”, di cui è già in programma un seguito per quest’anno con ben altri due cd.
L’impressione è che, in nome della sua irrefrenabile scrittura, Ryan Adams stia sempre più smarrendo la via pubblicando qualsiasi cosa e finendo per perdersi nel mare della normalità.
Di sicuro “Cold roses” non è un brutto disco, anzi, a tratti contiene spunti interessanti e momenti di classe, ma soffre terribilmente di una mancanza di selezione, di una cronica incapacità di concentrazione.
Di canzone in canzone Ryan Adams propone un ulteriore ripasso dell’american music infilando in ogni traccia abili ricami di country, di rock e di soul, ma così facendo finisce per realizzare un album che fatica a stare sopra la media di quello che una volta si chiamava “mainstream”. Grazie all’apporto dei Cardinals e soprattutto delle chitarre di Cindy Cashdollar (steel, lap steel, resonator guitar) e di J P Bowersock, “Cold roses” suona come un lavoro più cercato dei precedenti, in cui è chiaro il tentativo di tornare a focalizzare lo sguardo su quel country-rock da cui Ryan Adams era partito. Solo che, essendo ormai vittima della propria ansia artistica, l’ex-Whiskeytown finisce per suonare come una copia di sé stesso (o di altri).
Ma soprattutto sono le canzoni a suonare ripetitive. Già l’art-work e la confezione rimandano a parecchi apribili degli anni ‘60/’70 e infatti da subito l’iniziale “Magnolia mountain” è un perfetto esercizio in stile West Coast che fa venire in mente CS&N: gli anni ’70 tornano anche con un rock’n’roll più maschio che manca però di una vera passione (quella che a confronto Jesse Malin possiede in abbondanza).
Avessero goduto di una cernita più severa, questi due dischi sarebbero confluiti in un unico e avrebbero sortito miglior effetto: così come sono, suonano piacevolmente passeggeri, stuzzicando qua e là (“Sweet illusions”, “Let it ride”, “Dance all night”).
C’è da sperare che rappresentino un momento di passaggio verso un vero ritorno di Ryan Adams, ma le notizie che danno il loro seguito già pronto ci fanno guardare al futuro di questo cantautore con sempre più dubbi.

Track List

  • Cd doppio

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