Ryan Adams Devolver
2022 - Pax-Am Records
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Devolver risolve le cose in un'intensissima mezz'ora e, se non è uno degli apici della carriera del nostro, sicuramente contribuisce ad illuminare con efficacia un modus operandi e anche a mettere in discussione le gerarchie dell' “officina Adams 2022”. L'impressione, a paragone con le altre uscite dell'anno, è quella di un parto più estemporaneo e meno ragionato, ma forse più efficace. Sembra la prestazione di un fuoriclasse quando non si impegna, tipo un Messi o un Lebron James alle prese con una partita di seconda fascia, cioè quelle in cui paradossalmente emerge ancora di più la loro classe immensa. Il suono conferma un'indomabile passione un po' vintage per i primi eighties, con gli accordi possenti della chitarra in primo piano e un'eco da grandeur pop - rock sul retro. Dentro questa “scatola”, Adams sfoga il suo pazzesco senso della melodia, dando sempre l'impressione che di preparato ci sia pochissimo e che strofe, ritornelli, ponti e il tutto resto sgorghino naturali sul momento, a valanga. La modulazione della sua voce è in grado di ricreare, in un tempo limitato, un intero mondo drammatico-emotivo, proprio come i grandi del mainstream rock anni Ottanta (serve fare i nomi?). Al centro di questo dramma c'è un irrisolto struggimento romantico, che si insinua e si intride tra le superfici lucide dei suoni. Il musicista del North Carolina cerca l'amore eterno ma è in continua lotta con le sue pulsioni, e intanto trova riparo e protezione nella sua arte e in chi lo ascolta. “Sembra quel ragazzo che ti occupa il divano, un randagio bagnato in fuga dalla pioggia, l’eterno adolescente con troppe cose da dire”, come ha efficacemente sintetizzato di recente il critico e scrittore Marco Denti.
Nel frattempo, l'ormai ex ragazzo può permettersi di usare le canzoni come terapia, basandosi su una conoscenza enciclopedica della musica che lo circonda, su un ormai acquisito mestiere e soprattutto su un talento eccezionale, di quelli che arrivano direttamente da Lassù. In Devolver tutto si concentra in mezz'ora carica di emozioni, dentro pezzi che non durano più tre minuti e qualche volta nemmeno due, perché il nostro lavora per condensazione, senza bisogno di dilungarsi troppo, mettendo a nudo il cuore primordiale dei suoi pezzi. Se davvero la grande arte è sintetica, qui ne abbiamo le prove. Noi abbiamo amato – tocca storicizzare in fretta, che è già in arrivo il prossimo giro... – soprattutto Alien Usa, Marquee, Eyes On The Door, che esordisce come un pezzo degli U2, e Free Your Self, colmo di riferimenti ai Beatles. Il resto cercatelo voi, tanto è tutto fortunatamente e maledettamente gratis...