Non Voglio Che Clara Non voglio che clara
2006 - Aiuola Dischi
Il loro disco d’esordio – preceduto nel 2004 dal lodato Ep “Hotel Tivoli” – è davvero retrò e nostalgico, ma non merita di rimanere atrofizzato nel mondo indie, anche se non avvicina i vertici di un Tenco o di un Endrigo.
Viene da pensare ai Baustelle che in campo pop hanno attinto al patrimonio degli anni ’80 e sono riusciti ad uscire per una major. Auguriamo lo stesso anche a questi quattro bellunesi, che si muovono in modo più sofferto partendo dal cantautorato melodrammatico degli anni ’50 e ’60.
Per ora i Non Voglio Che Clara pubblicano per la Aiuola Dischi, piccola etichetta che predilige progetti sottili, meglio se frutto di una mente sola: così è per Babalot, per Artemoltobuffa e così è anche per i Non Voglio Che Clara, creatura di Fabio De Min.
Non si tratta di un disco da avere, ma, se si riesce a partecipare dell’approccio piegato su sé stesso delle canzoni, si entra in un mondo affascinante, che stringe come un rimorso.
“Un nome da signora” si avvolge in un arrangiamento d’archi prima di cominciare a cantare il proprio mal d’amore con un “Come faremo ora” che colloca subito la musica dei Non Voglio Che Clara in tanta disperazione sentimentale italiana: pur non sottintendendo tanto come fanno maestri del calibro di Tenco, Endrigo e Paoli, De Min è bravo a intorbidire le canzoni e a enfatizzare le metafore con riferimenti al pornografico, ad imprese sportive calcistiche e natatorie e a personaggi cinematografici.
Nell’arco di trentasei minuti si svolgono dieci bozzetti arrangiati soprattutto con archi e qualche ricamo di vibrafono, percussioni, sitar e corno francese. In una traccia compare anche Alessandro Grazian, altro esordiente che ha già dato prova di maggior spessore: qua in più di un’occasione sembra di ascoltare i Tiromancino in una versione umana oppure, se volete, i La Crus in un periodo post-adolescenziale. Il limite di queste canzoni è che non approfittano delle proprie sfumature per mettersi a scavare dentro l’oscurità: lo stesso De Min canta in modo (volutamente?) monotono e languido, con l’intervento di Syria nella sola “Sottile”.
Così rimane “solo” una raccolta di quadretti floreali incantevoli come delle nature morte. Ancora troppo freschi per essere cantautorali e gia troppo passati per essere indie.