Un passato di speranze e illusioni si sgretola, dilaniando un brandello alla volta il cuore: ciò che è stato, i ´giorni spesi senza sconti´ (´Le guerre´) , ´tutto quel che ho fatto per farti restare e tenerti qui´ (´La mareggiata del ‘66´), smarriscono il loro senso e ormai confondono le storie d’ ´amore ai tempi del kerosene´. I bellunesi Non Voglio che Clara tornano con l’atroce fotografia musicale di una generazione sconfitta da una solitudine ´senza cane e senza lavoro´, in un secolo avaro di sentimenti duraturi, in cui si canta che ´nessuno ami […] qualcuno´ (´L’inconsolabile´). Si cresce e ci si ritrova estranei: uno dei due cambia, o scappa attraverso una porta che si fa emblema di un’agognata ´promessa di libertà´ (´Il dramma della gelosia´), mentre l’altro, spossato dai pensieri, nonostante tutto resta con ´la voglia di riaverti accanto´ (´Le guerre´), nella necessità di un bilancio ´di quello che rimane´ (´La distanza´, ´La mareggiata del ‘66´). Tuttavia, forse, esiste anche ´un tempo buono anche per ambire ad un tempo migliore´ (´La stagione buona´). Questo canto di poca speranza, scosso dai brividi dell’incapacità incredula, eppure dell’improcrastinabilità della rassegnazione, dinnanzi ad ´una stagione della vita che è finita già´ (´L’inconsolabile´), si gonfia i polmoni di suoni poderosi, della potenza drammatica del pathos generato dal suono levigato del piano e dal suo riecheggiare in abissi di vuoto creati ad arte; trova il suo respiro in crescendo raffinati ed emozionanti, che conducono talora ad esplosioni liriche di archi, organo, synths rarefatti, a volte in contrasto con l’implosione delle distorsioni. In questo album, prodotto da Fabio De Min e Giulio Ragno Favero (Teatro degli orrori, One Dimensional Man, Mooro), anche l’elettronica, complici i genovesi Port-Royal, assume una maestosità sinfonica (v. soprattutto ´Il tuo carattere e il mio´ e ´Le guerre´), la forza tragica di un affresco magistrale, che non ha bisogno di pose atteggiate o eccessi teatrali/barocchi, ma solo dei colori grandiosi di un’eleganza sincera e di un afflato accorato di autenticità. In un romanticismo disilluso e post-moderno, che contamina e pervade chitarre elettriche, noise, pop da camera, piano-rock e classicità cantautorale, senza suonare mai decadente, Fabio De Min e soci guardano all’intensità del fascino discreto di Tenco ed Endrigo, Paoli e Bindi (ma anche del primo De Gregori più minimalmente acustico ne ´Gli amore di gioventù´), la cui essenza trova nuovo splendore in piena attualità grazie al gusto e alla sensibilità che scorrono naturalmente nelle vene della band, e non per scarsità di idee o ruffianeria tesa al calco. Anzi, i Non Voglio che Clara, al terzo lavoro, con il loro sguardo umido di nostalgia, intrisa di suggestioni musicali e atmosfere cinematografiche anni ’60 e ’70, con la magniloquenza struggente dei loro ´minore´, ma anche con una sobrietà da artisti veri e non da aspiranti clown del circo massmediatico, possiedono ormai una classe caratteristica e invidiabile. Quest’ultima plasma un intimismo prezioso, che pure brilla di rigorosa e franca semplicità, lontana dal farraginoso e pretenzioso intellettualismo, spiccatamente narrativo, più che poetico, di taluni più celebri colleghi. Siamo a novembre: forse abbiamo trovato IL disco italiano dell’anno?