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Elliott Murphy Aquashow Deconstructed
2015 - Route 61 / btf.it
Ma venendo a noi, a distanza di oltre quarant’anni, Elliott decide di rivisitare quel disco d’esordio, Aquashow (1973), affrontando un’operazione, quella di coverizzarsi, sempre molto pericolosa in quanto, nell’immaginario collettivo certe canzoni si identificano nelle esecuzioni che si sono sempre ascoltate, e difficilmente possono le reinterpretazioni, anche se eseguite dall’autore stesso, avvicinarsi agli originali. C’è da dire che il lasso temporale tra i due dischi ha modificato la carta geografica di Elliott, oltre che facciale e della voce anche dell’anima, e la rabbiosa energia giovanile degli esordi (aveva 24 anni) ha lasciato il posto alla quieta consapevolezza del proprio tempo.
L’operazione invita a provare, come nel caso di Astral Weeks Live di Van Morrison, un ascolto comparato canzone per canzone, un esercizio divertente e propedeutico per un riscontro immediato che consigliamo. Dal gioco cosa esce? In primis che Aquashow era un gran disco, un lavoro che affiancava, in alcune canzoni, lo Springsteen di Greetings e rimandava a memoria, in altri pezzi, la lezione urbana di Bowie e Reed. Oggi la voce di Elliott è cresciuta nella tonalità delle nuances più scure e nel mood declamatorio, quasi che egli abbia attrezzato la sua cassa toracica con un woofer da 15” e stia tenendo una lectio magistralis di rock al cospetto di un auditorio di giovani aspiranti cantautori, ma è soprattutto nella curata ricerca degli arrangiamenti, particolarmente efficaci, che il lavoro di Murphy, che si avvale del figlio Gaspard alla produzione, basso, tastiere e voci, e dell’imperituro scudiero Olivier Durand alle chitarre, dobro e mandolino, mette in risalto suoni più acustici e gli permette di smembrare quelle canzoni per poi rimontarle pezzo dopo pezzo per dare loro una nuova e affascinante veste. I tempi sono leggermente più lenti, tranne che nei brani più rock che hanno mantenuto l’energia degli originali, per il resto un violoncello al posto dell’organo, un violino qua è là e l’armonica assassina, lo strumento che lo ha forse “dylanizzato” ai tempi.
Parlare delle canzoni è inutile, vanno scoperte nel loro nuovo ed elegante vestito, resta solo da domandarsi se è meglio Aquashow del ‘73 o questo di oggi? Sarebbe come chiedere se è meglio il GT Junior Alfa o la BMW Serie 4 Coupè da commenda? A Milano vige un detto dialettale che tradotto recita più o meno così: “Ogni stagione vuole la sua frutta” oggi, Aquashow Deconstructed, risulta più in linea con la nostra necessità di guardarci dentro, in modo riflessivo, totale e autocritico, mentre allora si rivolgeva l’occhio al mondo che ci circondava, ubriachi di futuro, tutti pronti come eravamo a mangiarcelo a morsi. Elliott Murphy, attraverso questo nuovo mood di rivisitare quelle canzoni, ci conferma di essere un intellettuale di 65 anni, probabilmente in pace con se stesso e con il mondo, ormai sprovvisto di iperbole, come si conviene peraltro a questa nostra età, altrimenti ci resterebbe solo una “No Exit Strategy”. Come sempre si distingue il magnifico prodotto Route 61, sinonimo di cura in ogni dettaglio. Concludendo gli Aquashows - di ieri e di oggi - sono due dischi da mettere vicini vicini sullo scaffale e alternarli all’occorrenza come “rescue remedy”.