Wilco Yankee foxtrot hotel
2002 - NONESUCH RECORDS
La storiella è piaciuta parecchio alla stampa, che ha subito adottato “Yankee Foxtrot Hotel” con le attenzioni dovute a un figliol prodigo. Niente di male, ancora una volta il lavoro di Jeff Tweedy e compagni fa giustamente discutere, e questa è già un bene piuttosto raro, ma parlare di capolavoro è esagerato.
Sì, gli Wilco sono stati tra i primi a suonare il cosiddetto alt-country (che in realtà esisteva da tempo) e sono stati tra i primi a smantellare quel suono, tentando di costruire nuove strutture su ponteggi che già reggevano la loro musica. “Yankee Foxtrot hotel” non mi ha fatto gridare al miracolo, così come non mi ha fatto gridare allo scandalo quando è stato rifiutato: è la politica dell’industria musicale, a cui artisti e pubblico possono e devono cercare strade alternative.
Il disco ha avuto comunque una gestazione sofferta, visto il cambio in corsa di batterista e chitarrista e i riarrangiamenti di Jim O’Rourke. Tutto questo ha portato a un gruppo di ballate dolenti, in cui il roots e l’alt-country sono solo un ricordo sbiadito, rimarginato con un lavoro di computer programming, di noise e di archi.
Gli Wilco continuano ad elaborare le loro attitudini più pop, mantenendo una precisa identità malinconica: proprio l’amaro disincanto è il maggior pregio dell’album, che si perde però quando arrivano effetti space e un paio di canzoni facili facili (“Heavy metal drummer”, “I’m the man who loves you”). Rispetto al precedente “Summerteeth”, gli arrangiamenti sono più minimali, appoggiati a un pianoforte che lascia decantare le sue note. L’atmosfera si coniuga perfettamente con la scrittura di Jeff Tweedy, fatta di crepe che si aprono nella coscienza: “questo non è uno scherzo / per favore, smettete di nascondervi”.
Ballate come “Ashes of american flags” si muovono su lievi anfratti sonori da cui riecheggiano pause e parole inquietanti: “vorrei portare il mio saluto / alle ceneri delle bandiere americane / e a tutte le foglie cadenti / che riempiono le nostre borse della spesa”. Le canzoni sono state scritte prima dell’11 settembre, ma sembrano proprio portare il peso di quelle macerie: “tremano gli edifici alti / scappano le voci / cantando canzoni tristi tristi”. Logico quindi che i brani sfocino più volte in code di echi e di rumori che ricordano le malinconie disturbanti di “A day in the life” (Beatles) o gli sguardi perduti del Major Tom di David Bowie.
Tanto disagio mette a nudo le relazioni personali (“I am trying to break your heart”), i condizionamenti della società (“Kamera”) e le scelte sempre più estreme e forzate di un sistema in crisi: “È guerra su guerra / c’è una guerra in atto / si sta per essere sconfitti / si deve essere sconfitti / si deve imparare come morire” (“War on war”).
Con il sacrificio di qualche bel pezzo orecchiabile, “Yankee Foxtrot Hotel” avrebbe potuto essere un capolavoro per gli Wilco e per i nostri tempi.
Discografia:
A.M. 1995, REPRISE RECORDS
BEING THERE 1996, REPRISE RECORDS
MERMAID AVENUE 1998, ELEKTRA RECORDS
SUMMERTEETH 1999, REPRISE RECORDS
MERMAID AVENUE VOL. II 2000, ELEKTRA RECORDS
YANKEE FOXTROT HOTEL 2002, NONESUCH RECORDS