Wilco Cousin
2023 - dBpm
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Un disco dei Wilco è sempre una grande avventura, un viaggio di scoperta in un mondo ignoto, e anche Cousin non poteva fare eccezione, anche se per diversi aspetti resta un capitolo a sé. Dopo la fresca e corroborante boccata d'aria di Cruel Country la band imbocca di nuovo la strada della ricerca e dello sperimentalismo, affidandosi alla produzione esterna di Cate Le Bon, visionaria musicista gallese dalla vena art-pop. Ma senza esagerare: la loro discografia annovera ben altre alzate di ingenio e inaspettati “colpi di testa” che non è certo il caso di elencare qui. Cousin è piuttosto una parentesi, una divagazione meditabonda, una controversa e spesso un po' criptica riflessione di Jeff Tweedy sui suoi tormenti psichici, senza rinunciare a lanciare segnali di speranza e di ottimismo, come nell'iniziale Infinite Surprise e nella finale Meant To Be. Un disco non di prima fila nella carriera della band, che sta fuori dal mazzo dei loro capolavori ma che è sicuramente migliore della produzione degli anni Dieci, quella successiva a The Whole Love.
Si parte alla grande con l'affascinante parabola di Infinite Surprise, un pezzo a combustione lenta che arricchisce pian piano il riff e il ticchettìo di sottofondo. Poi ci si rinchiude nella monotonia melodica (quasi un parlato) di Ten Dead, guidata dal piano e screziata dalle chitarre, e nella forma-ballata più canonica di Levee; la prima ha in verità un suo climax, seppur dissimulato. Seguono il singolo Evicted, troppo routinario per entusiasmare, anche se è l'unica concessione a ritmi più sostenuti insieme alla title track. La dolcissima Sunlight Ends ruota intorno a una fredda drum machine e all'eco di un groviglio di note di provenienza incerta. Lo stesso stratagemma ritorna nella successiva A Bowl and A Pudding, dove sembra quasi di ascoltare un clavicembalo; anche qui la progressione emotiva c'è, basta avere orecchie e cuore per sentirla. Il finale è in crescendo, con un netto recupero del gusto melodico (Soldier Child e soprattutto Meant To Be) e un piccolo saggio in puro Wilco-style come Pittsburgh: giro di chitarra ammaliante ma subito “congelato” da un sintetizzatore molesto, malinconia come se piovesse dal cielo e breve inserto psichedelico-free. “I’m a flag where the wind won’t blow/I’m a kid that never grows”, canta Tweedy. In attesa che il vento torni in poppa, sospiriamo anche noi con il nostro nuovo cugino.