Umberto Maria Giardini Futuro proximo
2017 - La Tempesta
Già Moltheni, e con i Pineda nel 2011, torna a scuotere gli animi con questo quarto disco, forse il lavoro più pulito e minimale di sempre, firmato con il suo vero nome. Attraversare Futuro proximo è come imbattersi in un ricordo vissuto intensamente. Ha il suono dei bambini che nei primi secondi del disco giocano e, allo stesso tempo, il sapore acre di una vita vissuta per la musica. E allora Avanguardia, degna intro che avvolge elettrica e lisergica, ci dice che “Avanguardia è dirti che / per me il male è la gente / però la gente sono anche io / e allora viva il male”. Parole oneste e scelte con cura, che costellano tutto l’album, frutto di una maturità non soltanto anagrafica, sintomo della raffinata ricerca che caratterizza da sempre Giardini, capace ancora di parlare oggi e non solo nella memoria di ciò che è stato “ricordando un po' chi eri tu / chi ero io e come eravamo”.
La stanchezza di fondo, più fisiologica che di sostanza, che si avverte in certe tracce come Alba boreale – dalle marcature più orecchiabili, non a caso scelta come primo singolo – viene offuscata subito dalla pregiata A volte le cose vanno in una direzione opposta a quella che pensavi: di stampo più cantautorale, che sfocia in un refrain dal sapore morettiano “siamo diversi / ma tutti uguali”, di una bellezza semplice e che disarma. L’irruenza degli arrangiamenti e delle parole incastonate in modo perfetto, come nel miglior Umberto Maria Giardini, che a tratti commuove nella sua visione lucida della vita, ormai pregna di disincanto, si scopre senza mezzi termini nelle dissonanze e soluzioni distopiche de Il vento e il cigno e nella meno interessante Dimenticare il tempo, scisse tra loro dalla traccia che dà titolo all’album e che, strumentale, divide Futuro proximo in due parti, come tutta la carriera stessa di Giardini, segnata inesorabilmente da due realtà ben distinte, Moltheni e Umberto Maria Giardini.
Realizzazioni più scontate come Caro Dio ricordano certi risultati musicalmente distanti e poco riusciti, però analoghi nel concetto, preghiere laiche in arrangiamenti leggeri e melodie liriche, qui cantate alla Agnelli, come Ovunque proteggi del Vinicio post Canzoni a manovella. Così come Graziaplena che con Mea culpa realizza una sorta di trittico esistenziale e metafisico forse non abbastanza significativo. Sono lontani i tempi di Moltheni e Onda ce lo ricorda. Ma tutto si tiene grazie a una precisione maniacale che sfida e calpesta la paura del vuoto e del tempo che passa, lontano da qualunque inganno, di un’umanità disillusa, sofferente ma non vinta: “Vivere con te / è come entrare dentro a un fiume / che scende scende scende lento / ma non arriva mai al suo mare”. Un disco che rappresenta e descrive appieno il fare incerto di chiunque oggi. Come incerto è il Futuro proximo che ci attende.