Umberto Maria Giardini Forma mentis
2019 - Ala Bianca / Warner
Si respira d’altronde tra questi versi il profumo e sapore intenso soprattutto di ricordi che si fanno carnivori: l’abbraccio in cui/a cui abbandonarsi si fa artiglio, le braccia amate diventano “maligne e cattive d’avorio”, agli “occhi bianchi da adorare come neve” si contrappone un “come vedevano male i poveri occhi miei”. Gli anni spesi diventano spreco, inganni e bugie si moltiplicano e non restano che preghiere estreme e funeree, in cui la sensualità estenuata sa più di morte che di vita (“bruciati con me” in Pleiadi in un cielo perfetto, “entra in me fermati nel cuore / bagnati nel sangue mio” nella title-track): “Come riduci la vita natura cattiva”, canta UMG in Materia nera. Se nella traccia di apertura, La tua conchiglia, si parla di chi ti permette di “vedere i colori dell’arcobaleno”, nella lunga Forma mentis, canzone di chiusura, non resta che la “fredda pioggia del nord” e un “sole nero”.
L’immagine della “bocca innocente che piange e ha fame” incarna un dolore sfibrante e un vuoto pallido, livido, angoscioso; eppure tra le parole e al di là delle parole sembra scorrere un magma caldo di vita, una linfa sotterranea, una materia incandescente, una lava di carne, odori e amplessi caldi e ciechi, che nessun ghiaccio può spegnere, ma che coverà la vita in segreto pure dietro e sotto le apparenze di decadenza e morte. E la musica di Giardini d’altronde pulsa di vita sia quando è animata da un ardore in qualche modo sognante, sia quando trascina come un fiume lento e inesorabile, lattiginoso e malinconico; spande bagliori vitali quando le chitarre elettriche guizzano infette e oscure, viscerali e travolgenti, appaiono tese e pericolose come fili elettrici, fluide e magnetiche, o spandono tocchi languidi, oppure quando i bassi si fanno spirale vertiginosa. Pulsa di vita tra incanti irreali di archi (scritti e diretti dal maestro Carlo Carcano in Tenebra), nel tenue chiarore dolceamaro di alcune chitarre acustiche, nel calore ambiguo del pianoforte di Irene Cavazzoni Pederzini in Pronuncia il mio nome, nel ringhiare psichedelico della chitarra di Adriano Viterbini, scandita dalla batteria di Emanuele Alosi (già con Giardini nel supergruppo Stella Maris), nella conclusiva Forma mentis. D’altronde il fuoco divora e splende, uccide e regala l’abbraccio dolce e mortifero della luce.