Motta Vivere o Morire
2018 - Sugar
Trait d'union tra La fine dei vent’anni e Vivere o Morire è Ed è quasi come essere felice, che riprende le pennellate oscure di Roma Stasera o Se continuiamo a correre, seppur scarnificate. A questo punto quelle nuance elettroniche lasciano spazio ad un suono che brano dopo brano sembra arricchirsi di spunti da ogni parte del mondo, partendo da Livorno (“Livorno è una città strana/Piena di gambe nude e personalissime posture” Vivere o morire) per arrivare ai mari del sud, accarezzato dal soffio elegiaco del tempo che passa e muta i rapporti. La nostra ultima canzone (e anche Chissà dove sarai a pensarci bene)potrebbe essere la Farewell di Motta per certi versi, eppure ha un qualcosa che forse per stordire la tristezza della fine impedisce di restare seduti, che fa venire voglia di ballare e non far finta (a dispetto delle parole “Prendiamoci da bere/Come se questa fosse l’ultima notte insieme/Facciamo finta di ballare/Non ci reggono le gambe ma adesso chiudono il locale”), volteggiando a ritmo quasi rocksteady tra percussioni e battiti di mani sulle proprie macerie.
Quello che siamo diventati è un dolcissimo crescendo nel descrivere un amore che si fa strada nella vita tra le incertezze e le contraddizioni, che sembra sgranare gli occhi sul mondo, su delle note sempre più veloci, quasi di fuga, fino ad un “Vieni via con me. E’ arrivata l’ora di restare” che ha una sincerità disarmante.
Vivere o morire sembra riassumere tante tappe della vita dell’autore, ma per quanto autobiografica possa essere ha degli arpeggi così caldi che parlano al cuore di chiunque, che ti fanno affacciare sul mare della vita al di là della vicinanza con la Terrazza Mascagni.
E poi ci pensi un po' inizia serpeggiando tra cigolii di porte che si aprono in casa, quasi come un interno di film di Özpetek, e un qualcosa di Santana, con un incedere sensuale da tango sui dubbi nel crescere, sull’impossibilità di tornare indietro
Mi parli di te, toccante dedica al padre Giovanni, chiude il disco. E’ un dialogo intensissimo col “babbo” sulle rinunce che la paternità porta (“E di cosa volevi diventare/Che cosa volevi diventare/Che cosa volevi diventare/Senza di me”),su cosa da e sul fatto che forse in realtà per i sogni ci sia un’altra possibilità per volare (“Babbo, siamo ancora in tempo”).
Vivere o Morire riesce a fotografare non solo l’evoluzione personale musicale di Francesco ma anche quel senso di aver fatto qualche passo avanti e forse qualcuno indietro, quel camminare zigzagando a vista tra un pensare in avanti e un ripensamento che caratterizza l’incedere nella vita di ognuno di noi.