Motta La fine dei vent`anni
2016 - Woodworm / Audioglobe
“La fine dei vent’anni è un po’ come essere in ritardo, non devi sbagliare strada, non farti del male e trovare parcheggio”: Motta è il cantore della sua generazione, di chi si ritrova attorno ai trent’anni e decide di fermarsi per riprendersi la vita tra le mani, per metterla in ordine, per provare a ripartire, per stendere un bilancio tra i dare e gli avere. Le insicurezze son lì, a sottolineare una fragilità difficile da scalfire, mentre le certezze rimangono tutte da costruire. Se possibile attorno agli affetti, ai padri comunisti e ai progetti in cantiere. Certo, fosse solo una questione di piercing, sarebbe tutto più facile.
Intanto le canzoni di La fine dei vent’anni, l’esordio da solista di Motta, volano alto. Sarà perché la regia di Riccardo Sinigallia, che il disco lo ha prodotto, è stato abile nel condensare il retroterra del cantautore livornese. Sul cui curriculum spiccano, oltre al passato con i Criminal Jokers, le collaborazioni con Nada, Pan del Diavolo, Giovanni Truppi e Zen Circus. Motta ci mette del suo seguendo l’istinto e con una ugola dispensatrice di rabbia, disbrigandosela tra suoni veementi se non acidi, non disdegnando richiami cantautorali o più smaccatamente pop. E a volte sembra attratto da suoni in arrivo dall’Africa nera, se non da quelli di Manu Chao. Segnali di apertura, diretta conseguenza di un lavoro costruito anche su collaborazioni importanti, come quelle offerte da Cesare Pulicchio dei Bud Spencer Blues Explotion, Giorgio Canali, Alessandro Aloisi dei già menzionati Pan del Diavolo, voce in Se continuiamo a correre.
Un esordio folgorante di un talento da seguire con attenzione e da preservare, uno degli album più intensi di questo primo scorcio di 2016.