A differenza di altre formazioni l’ensemble siculo-veneto-bolognese-toscano non può certo permettersi di programmare la propria morte e resurrezione in base a logiche di mercato. Immaginiamo quindi che i Mariposa siano stati riportati in vita dalla loro stessa irrefrenabile natura: essendo dediti alla “musica componibile” hanno composto e decomposto il più possibile prima di scomporsi a loro volta e di trovarsi ricomposti a distanza di un anno e mezzo.
“Best company” è un altro esempio, non il migliore a dire il vero, di questo “metodo”: un disco antologico che raccoglie (quasi) tutte le cover registrate dal gruppo nei suoi nove anni di attività.
A lasciarci dubbiosi è la mancanza di materiale proprio e anche inedito, visto che alcune delle tracce qui incluse già erano state pubblicate su varie compilation o tributi. Da un gruppo come i Mariposa ci saremmo aspettati una prova di maggior coraggio, un lavoro che facesse ripartire la loro discografia con un nuovo punto esclamativo (ed interrogativo).
Certo anche qua c’è da rimanere a bocca aperta per una “Ob-la-di Ob-la-da” che va e viene come su una giostra, per una “Male di miele” cantata da una povera bambina di otto anni, chissà come coercita, e per una “Il mostro e l´aerosol” che fischietta incubi in modo colto ed ironico ricordandoci che con la mente ed i suoi mostri si può, anzi, si deve giocare.
Non sono poi in molti a saper rileggere Jannacci rivelandone la forza eversiva con provocazioni sonore attuali oppure a far indossare a Gaber delle nuove smorfie senza sfigurarne le idee o ancora a proiettare le transumanze di De Andrè in lontananze future. Ad affrontare gli Stormy Six con uno sberleffo, a portare i Gong in un bosco popolato di folletti e ad alterare i King Crimson fino a dilatarne la struttura prog.
“Best company” è un disco anomalo e curioso, ma in buona parte noto e per questo ci pare assemblato per riempire le caselle di un modulo che al momento non si sapeva come altrimenti compilare.
L’ingresso in formazione di Valerio Canè (basso, armonica e voci) è appena percepibile e c’è qualche assaggio di elettronica in più, ma anche quello è un tratto già esplorato nella prima vita della band. A mancare è quel senso di molteplici ed irrisolte direzioni di fronte a cui ogni nuovo lavoro dei Mariposa lasciava.
“Best company” è un disco che ci rimette in compagnia di un gruppo a dir poco originale, in attesa di un ritorno vero e proprio.