Jono Manson Little big man
2004 - CLUB DE MUSIQUE
Il disco era stato registrato negli studi di Sprigfield, sotto l’attenta produzione di Eric “Roscoe” Ambel, membro dei “Dukes” di Steve Earle, e ora viene riproposto da Club de Musique (etichetta che segue da anni Manson in Italia) con l’aggiunta di un pezzo, “True Love”, una soul ballad che chiude il disco proveniente dalle stesse registrazioni del ’98.
Jono Manson nasce artisticamente negli anni ottanta a New York insieme ai Blues Traveler, Spin Doctors, Joan Osborne che gli riconoscono tuttora il merito di essere stato una guida, una continua e profonda fonte d’ispirazione, come si può constatare in “Four” album della svolta verso sonorità più roots di John Popper.
“Little Big Man” non supera il perfetto “Under The Stone”, ultimo lavoro di Manson, ma come tutti i suoi album è ricco e sprigiona ritmo, dinamicità, un approccio musicale fatto di sintonia vocale e strumentale.
Sette delle canzoni sono state scritte col chitarrista Joe Flood, che, come gli altri musicisti scelti (Steve Lindsay al basso e Will Rigby alla batteria), danno un contributo essenziale e funzionale alla resa sonora. Si sente traspirare dal disco non solo musica ma anche un’atmosfera dal sapore dolciastro di qualcosa in costruzione che sembra nascere sotto gli stessi occhi dei musicisti, cosa che non accade nei dischi dei cantautori nostrani.
Il suo sound rock deve molto alle commistioni col R&B come si può sentire in “Wish I Could Hear From You”, pezzo che apre il disco, ma principalmente si notano le forti venature soul che attraversano, tramite la voce in questo disco veramente ottima, pezzi come “Madman’s Sky” caratterizzata anche da calde schitarrate.
L’atmosfera creatasi fra i musicisti grazie all’approccio “easy” di Manson permettE di fondere suoni, che emergono bollenti dal profondo dopo aver sterrato lo radici musicali degli States.
Si passa per il country veloce di “Gone, Gone, Gone”e “Little Baby”, una sorta di parodia agrodolce e lamentosamente country-blues (in cui i plettri di Flood fanno molto), che racconta la storia di una famiglia dissestata con madre cocainomane, padre che si aggira per la discarica e figli che spacciano nei vicoli. Degna di nota è sicuramente anche l’ottima “No String” segnata più di altre da una malinconia romantica e sognante sdraiata su di un letto di chitarre acustiche, mandolino e pedal steel (di Tom Brumley).
Un ottimo disco che valeva la pena riproporre in Italia, ormai divenuta una seconda casa per Jono Manson.