Joan As Police Woman Lemons, Limes and Orchids
2024 - PIAS Recordings
Nell’arco di tre decenni, la cantautrice e polistrumentista Joan Wesser vanta una carriera non di poco conto, con dieci dischi pubblicati, tra cui questo Lemons, Limes and Orchids, e un’attività live degna di nota, vantando collaborazioni illustri con luminari della scena musicale internazionale che rispondono al nome di Lou Reed, Beck, Damon Albarn, Sufjan Stevens e Rufus Wainwright, solo per citarne alcuni, senza dimenticare il compianto Jeff Buckley che per sua stessa ammissione definisce come “la sua anima gemella” e con il quale, per gli amanti del gossip, ricordiamo ebbe una breve, ma intensa relazione.
Anche questa volta, Joan Wesser si contraddistingue per la sua indole musicale metamorfica e, a tre anni di distanza dall’eclettico The Solution is Restless, si rimette in gioco con un album “old style”.
Lemons, Limes and Orchids sviscera la classica attitudine della songwriter ad approfondire le influenze jazz impregnandole di elettronica minimal e ambient, mostrando anche il suo animo più soul. Le canzoni trasudano contemporaneamente sensualità e malinconia, mettendo in risalto, nel pieno del suo controllo, anche la possente voce di Wesser, fino a percepirne ogni singola sfumatura. Sicuramente l’album più intimo che Joan As Police Woman abbia mai realizzato, tra l’altro registrandolo dal vivo con il sostanziale contributo di Meshell Ndegeocello al basso, Chris Bruce (Seal, Alanis Morrisette) alla chitarra, Daniel Mintseris (St. Vincent, D. Byrne, E. Costello) alle tastiere e Parker Kindred (J. Buckley, L. Gallagher) e Otto Hauser alternati alla batteria.
La particolarità di questo nuovo lavoro risiede anche nella sua testualità. Infatti, per la songwriter è stato di grande aiuto il workshop di scrittura tenuto dalla poetessa Marie Howe seguito, prima di cimentarsi nella composizione dei brani del disco.
In Lemons, Limes and Orchids, Joan As Police Woman da una parte esplora stati d’animo contrastanti come l’amore e la perdita, ma descrive soprattutto il mondo attorno a sé attraverso uno dei mezzi più significativi in suo possesso, come la poesia.
Sentimento rappresentativo dello stato d’animo attuale della cantautrice, l’amore aleggia tra le righe di alcune canzoni, ma in modo esplicito nella trama elettronica trama d’apertura di The Dream (I’m living a dream, the dream man/ has come to find me here/ has come to take me where/ the ocean meets the sand). A questo si contrappone quel senso di smarrimento e sconfitta, dovuto alla perdita, nei brani With Hope in My Breath e Back Again, dove attraverso un mix sonoro di soul, pop, funk e rock progressivo vediamo Wesser impegnata a cercare una riconciliazione in una relazione oramai dissolta (Don’t wanna be saying this/ but how can I say it other than/ I want you, I want you back again?).
In Full-Time Heist, invece, canzone dal pacato ritmo soul guidato dal pianoforte, il tema è l’egocentrismo, un brano riflessivo in cui Wesser ci racconta l’incontro con una persona consumata dal suo bisogno di essere lodata. In Long for Ruin, la voce di Joan evoca un’aria contemplativa su un groove ipnotico, tra indie-rock e alt-soul, facendosi portavoce di un dolore esistenziale, sulla condizione umana e sulle conseguenze della nostra incapacità di ascoltare, dialogare e condividere.
Ma è nella title-track che la cantautrice evidenzia e mette in pratica le lezioni del workshop di scrittura e partendo dal testo, prima di musicarlo, si è lasciata trasportare dal flusso d’impressioni ispirato dai testi di Cohen e Dylan “quelli lunghi ed epici che non pensava d’essere in grado di scrivere perché sembravano sacri, intoccabili e irraggiungibili”. Il brano è l’adattamento poetico del ricordo di quando vent’anni prima vagava per le strade tra i reietti di Manhattan; emblematico il passaggio “Sometimes it was quiet, enough to scare you senseless/ the streets were filthy, peels of lemon, limes and orchids”, che darà poi il titolo all’intero album.
Un gradito e piacevole ritorno per l’artista statunitense.