Giulio Casale L’uomo col futuro di dietro
2005 - ARTES RECORDS / MESCAL / SONY MUSIC
Ancora prima di passare all’ascolto dei pezzi, è un piacere constatare come il leader degli Estra abbia deciso di concentrarsi anche su una carriera solista, che prende le mosse dal precedente concerto-reading, “Sullo zero”, e dall’omonimo libro: la scrittura e la vena creativa di questo autore sono sempre parsi dotati di una profondità bisognosa di momenti di riflessione autorali, oltre che di squarci rock.
Se il disco uscito nel 2002 presentava un Giulio Casale per alcuni ancora inedito, che accompagnava le sue canzoni e i suoi testi con una chitarra acustica, questo ulteriore lavoro dovrebbe confermare la sua vocazione cantautorale come una via parallela a quella (per ora interrotta) degli Estra.
Così è almeno a sentire queste quattro tracce, una tratta dall’album in arrivo, un paio di inediti e una cover di “Hallelujah” già sentita più volte dal vivo.
“L’uomo col futuro di dietro” apre il dischetto con un’acustica delicata, impreziosita da qualche tocco di chitarra elettrica e da un canto morbido: le finestre si aprono ad una forma di canzone più melodica, pur mantenendo sempre nei testi una tensione esistenziale che rende Casale un autore mai pacificato. L’accostamento ad alcuni cantautori italiani, ed in particolare a Luigi Tenco, già riconosciuto ed omaggiato in “Come fiori in mare”, è motivato proprio da questo contrasto tra una musica “leggera” ed una scrittura colma di ferite.
Riascoltando più volte il pezzo si ha l’impressione che la meta all’orizzonte sia quella di una limpidezza ideale, tanto della forma canzone quanto del vivere.
Proprio come Tenco, Giulio Casale risulta così essere cantautore antico e moderno e ne è una prova la traccia successiva: “Vivacchio” è un pezzo in perfetto equilibrio tra un’acustica delicata e qualche effetto in sottofondo, tra un testo che non si rassegna e un violino che distende l’atmosfera. Davvero splendida l’interpretazione, che comprende anche l’inserto parlato di una voce fuori campo.
Quasi a voler far emergere poi tutte le sue facce, Casale propone una “So che non so” dal piglio più rock, che, pur essendo acustica, ricorda l’andamento di certi pezzi degli Estra o meglio dello stesso autore: anche qua è interessante l’equilibrio trovato con una rumoristica minimale e alcuni interventi di chitarra piuttosto oscuri.
Alla fine la cover di “Hallelujah”, più che un omaggio a Leonard Cohen e a Jeff Buckley, suona come una ammissione del proprio punto di partenza, di quel fondale blu da cui Giulio Casale solleva lo sguardo attratto da una luce che filtra riflessa.