Giulio Casale In fondo al blu
2005 - ARTES / MESCAL / SONY
E non si tratta certo di parole ad effetto o di una semplice metafora, se si pensa che queste canzoni sono state presentate all’interno dello spettacolo “Illusi d’esistenza” al Teatro Toniolo di Mestre e al Piccolo Teatro di Milano in due prime a cui poi seguirà una vera e propria tournèe teatrale quest’autunno.
L’interiorità poi non è mai mancata all’(ex?) cantante degli Estra, anzi, proprio questa, unita ad una mirabile coerenza, lo ha portato ad incidere da solo: sarebbe stato molto più facile fare un altro “Nord-Est cowboys”, ma gli Estra hanno preferito prendersi un periodo di sosta in attesa che la loro strada trovi una direzione su cui poter avanzare.
Parallela ed indipendente prosegue così la strada di Giulio Casale che pubblica il suo primo vero disco solista: un lavoro cantautorale che giunge come una naturale conseguenza di altri progetti (“Sullo zero” e la partecipazione al Festival Teatro Canzone Giorgio Gaber).
Gaber quindi, ma anche De Andrè, Leonard Cohen e Nick Drake sono presenti non come semplici comparse, allo stesso modo in cui Pavese, Socrate, Virginia Woolf e Tom Waits non sono mere citazioni. Giulio Casale ha ulteriormente aumentato il suo tasso di cuore ed intelletto, ponendosi a metà strada tra un cantautore e un umanista, che esprime con le sue canzoni sdegno ed amore per l’essere umano.
Anche la posizione assunta in copertina, seduto sott’acqua sul fondo di una piscina, rimanda a quella di certi uomini di cultura del passato: stare “in fondo al blu” è una scelta necessaria a chi vuole staccarsi dal conformismo imperante e trovare una realtà in cui vivere, anche a costo di doverlo fare trattenendo il fiato.
In questa condizione meno rumorosa e più riflessiva Giulio Casale si trova a proprio agio: non ci sono le sferzate rock degli Estra, ma c’è un equilibrio profondo tra canzone ed arrangiamenti, prevalentemente acustici. Ad accompagnare l’autore non ci sono turnisti, come spesso succede nei dischi solisti, ma musicisti che sono più dei compagni di viaggio (tra cui qualche membro degli stessi Estra e i Grey).
Casale si muove con libertà e nuota in acque limpide, cimentandosi con scioltezza con il folk, con una lieve bossa nova e con degli splendidi arrangiamenti d’archi.
Dalla sua condizione di esule, “Estremo” (lo si può chiamare ancora così? Forse sì, anche più di un tempo) risulta più italiano di tanti: basta sentire la pernacchia gaberiana di “Sbarre sui denti” o l’interrogativo di “Ora o mai più”, più credibile di quelli dei tanti Ligabue.
I campionamenti sono un fruscio, una lieve corrente che passa sul fondo dei pezzi, lasciando alla voce lo spazio per un’autoralità mai accomodante. Stupisce la provocante armonia con cui tutto avanza: dalla drammatica delicatezza del vivere di “Cara giovane vergine che mi parli di suicidio” all’invettiva di “Parassita intelletuale”, dalla tensione di “So che non so” (che potrebbe essere il seguito di “Non canto”) al testo in inglese di “All I want to be”.
Tanti sono i pezzi da ricordare in un disco che merita di essere portato in superficie. In quel mare nostrum che è la musica italiana.