Francesco Più Live at Bloom
2014 - Groove Company
Il diavolo si nascondeva forse dietro una Mamuthones, tipica maschera del Carnevale di Mamoiada, una storica tradizione sarda a cui il Nostro è molto legato. Questo giustificherebbe il simpatico gioco di parole scelto a titolo del disco Ma-moo Tones (2012), lavoro che del bluesman in questione ha suggellato l'apice artistico.
Non è chiaro, comunque, (per citare il bosone blues di Cave) chi ci abbia realmente guadagnato, se la malvagia figura caprina o il chitarrista, cantante e armonicista sardo Francesco Piu, immenso talento nostrano che in breve tempo è riuscito ad oltrepassare i confini nazionali, a calcare palchi d'acquolina in bocca, suonando, tra i tanti, al fianco di Tommy Emmanuel, Roy Rogers e Guy Davis, e a stringere collaborazioni che valgono un terno al lotto.
Impossibile, a questo proposito, non citare Eric Bibb, bluesman newyorkese e produttore artistico dell'album sopracitato e da Buscadero inserito tra i dieci dischi dell'anno. Fu proprio Bibb ad incanalare le già definite inclinazioni musicali di Piu in una precisa direzione, di cui il 'less is more' costituisce l'unica strada possibile. Una filosofia, quella del 'meno è meglio', che potrebbe sembrare oltremodo diffusa (e che forse lo è), ma che fa sì che la musica metta se stessa in discussione. Una sfida da cui solo un progetto musicale di tutto rispetto puo' uscire indenne.
Per nostra – e sua – fortuna è questo il caso di Piu e del suo Live at Bloom, storico locale milanese. La performance incendiaria tenutasi il 20 marzo del 2014 puo' vantare la precisione di un'incisione in studio e al contempo il cuore, la potenza e l'interscambio emozionale dei migliori concerti, il tutto con due soli musicisti sul palco.
La matrice acustica che caratterizzava il disco – definito dallo stesso autore “non un disco blues, ma un disco pieno di blues” - vira qui a favore di elettricità, distorsioni e di ritmiche corpose e ruvide come tronco di quercia, a cui ben si presta la solida ossatura ritmica di Pablo Leoni (batteria e percussioni). La voce di Piu, che niente ha da invidiare alla sua abilità strumentale, si riconferma di altissimo livello, ora sporca ora limpida, ma sempre penetrante e ricca di sfumature; da non sottovalutare, inoltre, l'ottima pronuncia inglese del cantante-chitarrista, tanto impeccabile quanto rara nel panorama italiano.
Il blues di Francesco Piu, qui composto quasi esclusivamente da cover (Havens, Dylan, Hall, Thomas, Stewart), brani tradizionali e da due inediti (no no, non si fa!), colpisce sicuramente per colore, personalità e per il piglio viscerale che esercita senza difficoltà sull'ascoltatore. Ma è la spazialità della sua musica a lasciare il segno, soprattutto se consideriamo la struttura storicamente 'saldata' tipica del genere. I brani che ci presenta si autoalimentano, respirando e crescendo senza forzatura alcuna, solidi e forti come gli arbusti bagnati dalle sacre acque del Mississippi. Tutto questo non puo' che rappresentare un valore aggiunto al già magistrale crossover che Piu ci regala. Soul, gospel, funk, rhytm & blues, delta e percussioni afro, che convinvono in queste personalissime versioni - talvolta persino nello stesso brano - in una contaminazione talmente originale che a conti fatti non puo' che esaudirsi in un'unica definizione: lo stile Francesco Piu.
Cosa si puo' chiedere di più al Diavolo del Blues?
Impossibile stabilire una gerarchia tra i brani eseguiti dal vivo. Fatevi del male e ascoltate questo live per intero: vi odierete per non esserci stati.