Francesco Piu CROSSING
2019 - Appaloosa / IRD
Già con The Cann O’ Now Sessions il chitarrista di Sassari aveva espresso un intimo legame con le radici, rivolto alla terra natia e ai suoi profumi, ai paesaggi (il titolo è emblematico e il disco era stato registrato in un vigneto nei pressi di Alghero) e ai colori isolani che con emotività venivano traslati negli accordi di una musica così lontana come genesi, ma così universale come sensazioni. E ancora prima, con Maa-Moo Tones, Francesco Piu sdogana quello che rappresenta un simbolo della tradizione sarda, inserendo le tipiche maschere del carnevale di Mamoiada che con i loro figuranti che procedono in silenzio affaticati e affranti, nell’immaginario di una simbolica schiavitù del popolo nero che ha poi dato voce alle prime note dei lamenti blu. E proprio in Ma-Moo Tones vi è il primo assaggio di quello che vuole essere un tributo all'adorato Johnson, Soul Of A Man.
Con il nuovo nato, Piu lascia enorme spazio alla voglia di scavare più a fondo, a quell’amorevole spirito di ricerca ancorato alle radici. Un concetto di radici che però, oltre alla profondità, abbraccia il significato di un intreccio con tutto ciò che fa parte della storia di ognuno, che circonda situazioni, incontri, esperienze, luoghi…. Ed è in questo modo che in due anni di lavoro il disco prende forma attorno a una terra che diventa il veicolo di mille pensieri, mille idee, diverse culture, di una musica che idealmente traghetta la tradizione in un’epoca tanto sfuggente quanto è quella moderna. Crossing, nella sua ricchezza, è impreziosito dalla partecipazione di ospiti come Antonello Salis, Gavino Murgia, Gino Marielli dei Tazenda, Bruno Piccinnu e Franziscu Pilu dei Cordas et Cannas e il mandolinista Lino Muoio. E’ figlio di un percorso di ricerca, all’inseguimento di suoni variopinti e peculiari, con l’obiettivo di integrare la strumentazione popolare proveniente da diversi paesi con un tipo di linguaggio universale di cui si fa interprete il blues, la musica dell’anima, “Tutto quanto miscelato con un po’ di elettronica per renderlo attuale”, come sostiene Piu. Una sintesi sonora intrisa di quella mescolanza fra culture che rappresenta e ha rappresentato una delle maggiori risorse dell’uomo dalla sua comparsa sulla terra fino ai giorni nostri. Un messaggio importante se inquadrato nei dissapori della società contemporanea, in un’epoca in cui relazione, confronto e conflitto fra popoli diventano fondamentali per capire in che direzione dirigere il nostro futuro.
Se poi siamo in grado di leggere la contaminazione come una risorsa, non facciamo altro che allinearci col pensiero dell’artista: “ci sono molte spezie sonore nel mondo che possono arricchire il linguaggio senza snaturarne l’anima, dandogli solo una nuova veste, una nuova linfa vitale”.
La rotta da seguire, per un ascolto profondo, è verso una mescolanza di suoni che non si limita a sconfinare nei territori limitrofi al blues, ma proviene da terre antiche e si spinge fino a paesi lontani aprendo un campo di confronto, rapportandosi ed adattandosi a sonorità straniere, dalle percussioni africane alle corde arabe, dagli strumenti tradizionali sardi a quelli delle terre elleniche. Negli altri dischi eravamo abituati a sentire il sound “croccante” di Francesco Piu che si miscelava col funk, col soul e col rhythm’n’blues, ora l’assunto di base è che l’identità non si costruisce sulla convenzione, ma nello scambio con identità diverse. La metafora è che più cerchiamo, più troviamo il mondo, allontanandoci e ritrovandoci. Esattamente il contrario di quanto propongono certi mistificatori del gioco. Così Crossing viene scritto con codici antichi e moderni, in un’amalgama tra storia e presente, tra armonie occidentali e vibrazioni africane, pronunce orientali e ritmi antichi. Stones In My Passway è l’emblema del connubio tra nuovo e vecchio, spostandosi fra echi storpiati, suoni underground, mentre il basso robusto di Fabrizio Leoni e una batteria elettronica smembrano il ritmo e le grattate di DJ Cris si intersecano con un blues difforme, animalesco. Non si tratta solo del comune gusto europeo per l’esotismo, Crossing è un’osmosi culturale, una sorta di impollinazione incrociata che attraversa i continenti, travalica i confini dei sensi ed è con questa lettura che si oltrepassano le atmosfere desolate del bouzuki in Me An My Devil con un Marco Pandolfi all’armonica che ne dipinge le angosce, è su questa strada che ci si incammina verso il verde dorato del sole di melodie alla Ben Bedford nella bellissima ballata From Four Til Tale, segnando il passo sugli shakers di Centamore, e si attraversano i tempi medi scanditi dalle percussioni del tumbarinu de Gavoi sotto piogge ipnotiche di chitarra e bouzouki in Hellhound My Train. Diventiamo spettatori di frontiere che si cancellano per estensione, dove popoli e costumi si costeggiano, vestiti di colori ibridi e comunichiamo attraverso commutazioni di codice che rendono labile ogni confine, lasciandosi commuovere da una profonda Love In Vain ricamata dai flauti e ballando sulle sincopi dell’accordion sui ritmi di They Re Red Hot che un po’ ricordano una Princesa alla De Andrè.
Un processo di rigenerazione, senza obbligo di frequenza, che musicisti come Francesco Piu scelgono di innescare nel rispetto della veridicità di ogni sorgente, senza scontrarsi con purezza e autenticità, ma integrandole nelle rinnovate esigenze della tradizione. Basta seguire le tracce di un blues inzuppato di fango con una chitarra slide e distorta che suona alla Luther Dickinson e che si intreccia con liuti persiani, launeddas e calebasse su Stop Breaking Down, e sintonizzarsi con gli accenti tipici alla Francesco Piu sulla chitarra hendrixiana Crossroad Blues e una Stop Breaking Down che cresce in tono e suggestione salendo direttamente dalla pancia. La contaminazione non diventa solo una scelta estetica, quindi, ma un’esigenza, non importa quale equilibrio sonoro si possa cercare, ma sono proprio il disorganico e il diverso che descrivono lo stato d'animo di una società allo sbaraglio. Con Crossing Francesco non porta solo Robert Johnson nel Mediterraneo, ma ogni popolo che lo ha navigato, in nome di un messaggio universale che invoca una convivenza possibile.