Dente Almanacco del giorno prima
2014 - RCA/Sony Music
Il nuovo album svela un Dente in ottima forma: il 2014 (per restare in tema di previsioni) è l’anno dello slancio, del salto di qualità. Il disco riesce ad essere contemporaneamente attuale e all’antica; il fatto che sia stato registrato come si faceva una volta si sente e risulta quasi incredibile la carica innovativa che può avere il ritorno alle origini, alla tradizione.
Quest’anno sancisce quindi un ritorno in grande stile per Dente; lui, da parte sua si sdebita con Invece tu, come quando nella notte degli Oscar con la statuetta in mano ringrazi tutti (voglio immaginarlo così); il singolo è il collegamento spazio-temporale col passato, uno stargate che ci immette in un’altra dimensione.
L’almanacco del giorno prima risuona come un bel disco italiano (nel senso più stretto del termine): sembra illuminato da una luce tricolore, sembra un classicone che non sarà dimenticato, facile da intonare e riconoscibile, musicalmente perfetto anche grazie alle collaborazione di Tommaso Colliva che ha curato i suoni, di Enrico Gabrielli che si è occupato dei fiati e di Gianluca Gambini alle percussioni.
L'album si apre potentemente con Chiuso dall’interno, un pezzo che musicalmente suona come le care e mai vecchie hit dei vari Dalla o Battisti; vi troviamo un Dente in bilico tra il tutto e l’opposto di niente, a cui non resta che svendere quell’inutile bandiera bianca e di sigillare il coraggio con l’inchiostro tra le pagine di un qualunque quaderno.
Enrico Gabrielli aiuta a rendere ancora più sorprendente Miracoli, una brevissima perla incastonata tra i dodici pezzi. Paurosamente vintage è Fatti viva: sembra sbucare fuori da un cassettone impolverato, intrisa di quella carica capace di far muovere le molecole di tutti i corpi, stretti guancia a guancia; potrebbe essere la colonna sonora dell’amore dei nostri nonni. Un brano sofferto ed ironico, un tema scontato come la fine di un amore, diviene una splendida poesia ("Adesso ucciderei /Per un po’ del tuo silenzio/E per non odiare il mio/Non so cosa darei"): tutto merito dell’estro mai scontato Giuseppe Peveri.
Ne ha fatta di strada da quando era solo un ragazzetto di Fidenza (nel 2006 usciva il suo primo album Anice in bocca); adesso è il tempo delle riflessioni e la spensieratezza con un nuvolone nero lascia il posto all’amarezza e alla nostalgia. Dente ha la maturità per guardarsi indietro e lo fa in Al Manakh, la pseudotitletrack che voglio immaginare in arabo significhi qualcosa; per il nostro Cantautore indica lo scorrere inarrestabile del tempo.
Un fiore sulla luna e Coniugati passeggiare poco si staccano dal passato di Dente: la prima più cupa, musicalmente assai veloce, è una sorta di vortice fatto di note e di ossimori; la seconda - non meno malinconica della precedente - è musicalmente più limpida, per dirla alla Graziani è una canzone triste triste triste. Con Dente gli anni ‘60 non sono mai stati così vicini: così avulso dalla nostra non piacevole epoca, ci ha fatto un dono, uno specchietto retrovisore che restituisce immagine in bianco e nero, scenari semplici e poco tecnologici; un tempo bastava guardare il cielo per capire cosa avrebbe riservato il futuro, e per Dente quel cielo è il passato, uno strano strumento per conoscere il domani.
L’album risulta compatto e coerente con se stesso e con quello che è stato il trascorso di Dente, di cui è la chiara evoluzione: il “vecchio-nuovo” che si fa largo nel presente. Anche la durata è perfetta: in poco più di 35 minuti scorrono dodici tracce, un concept le lega: con brani intimi e contemporaneamente di tutti, storie semplici che si alternano ad altre più complesse, L’almanacco del giorno prima è di tutti.