Bruce Cockburn Speechless
2005 - Rounder / True North Records
A differenza di molti dischi strumentali che si smarriscono su sé stessi finendo per risultare del tutto relativi, questa raccolta ha una sua identità precisa, una sua voce, data dalla chitarra acustica e soprattutto dalla mano di Cockburn.
Si tratta di quindici pezzi per la maggior parte già pubblicati nell’arco di una carriera trentennale: quattro sono gli inediti, di cui uno già uscito per il mercato giapponese, eppure, nonostante scarseggi il materiale nuovo, “Speechless” è un tassello significativo e quasi necessario nella discografia di Bruce Cockburn.
Quelle composizioni che prima fungevano da arrangiamento o da intermezzo tra un brano e l’altro rivelano ora la loro anima, costituendosi come un corpo a sé, come la vera identità di questo artista. Anche i brani storici tratti dai dischi dei primi anni ‘70 assumono un peso diverso inseriti in un contesto apposito che esula dalla parola.
Non tutto raggiunge gli stessi vertici di espressione: si avverte qualche calo verso la metà dell’album soprattutto in “Islands in a Black Sky” e in “Rise and Fall”, che sono comunque buone lezioni su come creare uno spazio con lo strumento.
I punti più alti sono quando il suono della chitarra gode delle suggestioni di altri strumenti come il vibrafono in “Mistress of Storms” o il clarinetto in “Rouler Sa Bosse”, ma tutto l’album è percorso da un anelito che vede la luce nell’arpeggio illuminato di “Foxglove”, nei giri di “Elegy” e di “When It´s Gone It´s Gone”.
Il disco richiede un ascolto paziente e incline alla riflessione, ma non forzatamente mistico, perchè le interpretazioni possiedono una loro gravità emotiva: Cockburn sa esattamente quali sono le corde dell’anima e dello strumento da toccare e lo fa magistralmente in “Salt Sun and Time” e in “Deep Lake” con il supporto di basso, dilruba e percussioni.
In più di una traccia emerge lo spirito del viaggiatore che ha assorbito terre e culture lontane: ne sono esempio “Elegy”, con qualche passaggio orientaleggiante, e “The end of all rivers”, in cui Cockburn oltre alla chitarra baritona si cimenta anche con un Tibetan bowl e un Navajo flute.
Un musicista come lui non ha bisogno di tanti strumenti, di novità e nemmeno di parole per comunicare. “Speechless” è un’occasione non solo per i fans di conoscere le suggestioni della sua anima.