Alessandro Grazian L`età più forte
2015 - Lavorarestanca /Audioglobe
La chiave di volta che regge il suo quarto album e che svela un songwriter consapevole del suo schivo, ma ormai verificato talento è quella pregiata cifra psichedelica impressa al disco, che lo eleva al di sopra della passata produzione di Grazian, pur contenendola tutta.
Con una canzone d’autore tinteggiata di caldi lapislazzuli psych e immersa in una languida foschia new wave, il cantautore padovano esercita l’arte della melodia attraverso spinte rock ben assestate da chitarre fuzz e phaser e puntellate da echi post-punk inaspettati, ma d’effetto.
Scivolando morbidamente sulla classica forma canzone di Satana, evocativa della scena milanese a cui appartiene artisticamente, soprattutto quella di ascendenze seventies di matrice delleriana, Grazian si concede a ritmiche dalla timbrica percussiva audace in Lasciarti scegliere, per approdare alla struggente estraniazione di Corso San Gottardo, intima ballata conclusa su distorsioni hypno dal sapore acido e onirico.
La vena descrittiva di Alessandro, che disegna scenari emozionali con la stessa vena espressionista con cui dipinge i suoi “Ritratti da Grazian”, arriva a colorare poeticamente anche La meglio volgarità, che si richiama a motivi elettro-pop ben collaudati in epoca ’90 dai Depeche Mode, ma che Grazian sa dosare in arrangiamenti strumentali comunque convincenti.
L’età più forte, manifesto di una crisi interiore nata dal disincanto, ma ancora convinta che scegliere un percorso diverso sia possibile, stende su dieci brani una patina a suo modo vintage, fatta di arredi urbani familiari e di interni esistenziali. E il gioco di Grazian è quello di prenderli di mira con un atto di denuncia che mantiene comunque una sua leggerezza innocente, un tratto riflessivo che con poesia non condanna, ma stigmatizza, come nell’istant song Se io fossi una band mi scioglierei, così vicina all’ermetismo delle invettive proclamate dai CCCP, ma scremata dalle loro rivendicazioni ideologiche.
Sorretto in questa ultima prova discografica dagli accorgimenti sonori di Enrico Gabrielli, dalla collaborazione di Rodrigo D’Erasmo e dalla cura ingegneristica di Antonio “Cooper” Cupertino, il padovano ci consegna un album di soave bellezza poetica, in cui alla lezione baustelliana e pinkfloydiana, riverberata in Quasi come me, affianca la classe psichedelica di uno Steven Wilson omaggiato, non si sa se consapevolmente, nella conclusiva Noi Noi Noi, dimostrando un gusto musicale inattuale, ma finissimo, che rende la sua sensibilità artistica ancor più indispensabile in un’epoca in cui c’è bisogno non di vero cantautorato ma di cantautori veri.