Alessandro Grazian

interviste

Alessandro Grazian L'eleganza di essere sé stessi

08/04/2015 di Nadia Merlo Fiorillo

#Alessandro Grazian#Italiana#Canzone d`autore

A due anni di distanza dall’ottimo Armi, il padovano Alessandro Grazian ritorna sulle scene discografiche con L’età più forte, album che chiude la sua decennale carriera rispondendo all’urgenza di un resoconto bio-artistico, tarato sul tema della scelta e della coerenza più autentica. Per svelare quale personalità musicale si nasconde in questi dieci anni di canzoni, lo abbiamo invitato a raccontarsi e a fare un bilancio di questo lungo periodo di vita artistica, scoprendo un musicista colto, meditativo, talvolta anche disincantato, ma con una precisa visione delle sue aspettative future e una lucidissima determinazione nel voler proseguire sul terreno della sua ricerca musicale.
Cantautore riservato, lontano da ogni mania di protagonismo mediatico e sensibile ad atmosfere polimorfe intrise di nostalgica ricercatezza musicale, Alessandro Grazian continua da dieci anni a muoversi in ambienti sonori raffinati, affidando a una personalissima grazia compositiva le tante espressioni del suo percorso artistico, da quella folk-orchestrale degli esordi, a quella più rock/new wave del suo penultimo album, fino alla nuova impronta psichedelica dell’ultimo L’età più forte

Riservato, si diceva, ma non per questo estraneo alle cose del mondo e al corso del tempo, che dipinge con tratti sfumati e una vena di realismo mai totalmente distaccato, anche quando sceglie come registro del suo songwriting una certa impenetrabilità ermetica o quell’apparente irruenza testuale presente nel suo recentissimo lavoro discografico.

Tante le collaborazioni che negli anni lo hanno visto al servizio della musica altrui, da Nada a Edda a Federico Fiumani, eppure Alessandro Grazian è riuscito a mantenere intatta una peculiare forma cantautorale, che nasce da originali rielaborazioni del suo background di ascolti e si sviluppa sulla via di una ricerca musicale lontana da precise appartenenze di genere.

Con L’età più forte torna per chiudere il cerchio dei suoi primi dieci anni di carriera, sintetizzando in un disco dalle sonorità trasversali tutto il suo percorso acustico-elettrico, lasciandosi andare a un mood dream pop più consono ai suoi intimi riverberi introspettivi e alla sua natura di rocker romantico, anche se a tratti disilluso.

Insieme ad Alessandro abbiamo provato a tirare le somme del suo viaggio musicale, tentando di scavare tra le pieghe della sua personalità per tracciare un bilancio artistico e biografico di quello che, a nostro parere, è uno dei cantautori più garbatamente ispirati ed evocativi del panorama indie italiano.

Mescalina: Il tuo nuovo disco, L’età più forte, è una sintesi del tuo percorso biografico e musicale. Qual è il bilancio che ne viene fuori?

Alessandro Grazian: A dire il vero, penso di essere ancora in un torrente in piena, ma se mi chiedono di tirare le somme devo ammettere di aver fatto un percorso molto intenso e non sempre facile, perché non ho scelto la via più comoda per esprimere me stesso, né il momento più indicato. Proprio in questo nuovo disco ho cercato di esprimere un’idea che mi ha ossessionato per molto tempo: provare a capire quando sei tu a scegliere qualcosa e quando è qualcosa che sceglie te. Ecco, mi rendo conto che, almeno fin qui, ho assecondato me stesso e le mie scelte.

Il bilancio, quindi, è positivo e sono soddisfatto di aver investito del tempo per le mie canzoni e per la mia musica, assecondando la mia personale strada artistica abbastanza aliena dalle mode.

Arrivo ad oggi con la consapevolezza di dover ringraziare la mia forza di volontà e la determinazione con cui ho proseguito su un preciso cammino, anche se questo non vuol dire essere arrivato.

Mescalina: In questi dieci anni non hai scelto la via più semplice, ma senti di aver rinunciato a delle alternative?

A.G.: Non avevo alternative, ma semplicemente perché ho dato ascolto soltanto a quello che volevo fare, quindi non ho dovuto scegliere tra una strada o un’altra. Spesso rifletto sull’essere più o meno in fase con il proprio tempo e ho ben chiaro il fatto che esistono percorsi musicali naturalmente in linea con determinate tendenze e percorsi che, invece, hanno bisogno di più tempo o di un tempo diverso per essere apprezzati o per affermarsi.

Personalmente, mi sono trovato molto più a mio agio a scrivere le mie canzoni in un linguaggio non mainstream, perché ho accettato la sfida di essere me stesso, anche se questo mi ha portato spesso a fare i conti con i miei limiti.

Certo, avrei potuto seguire le tendenze in voga, ma avrei dovuto rinunciare a un mio personale progetto di ricerca musicale, quindi ho preferito non seguire mode. Con questo non voglio dire che chi oggi ottiene dei riconoscimenti da parte del pubblico si adegui passivamente a dei modelli preconfezionati, dico solo che risponde naturalmente a un certo modo di fare musica e di fruirla.

I miei dischi, compreso L’età più forte, sono più di ascolto che di intrattenimento e ricalcano il modello degli album con cui sono cresciuto, molto legato a un’idea di canzone che parte dagli anni ’70 e si sviluppa attraversando i territori underground, che poi è il modello della canzone di contenuto.

Quando ho iniziato a scrivere era questo il mio mondo musicale di riferimento e a questo mi sono attenuto, proprio perché me lo sentivo e me lo sento ancora addosso.

Mescalina: Ne L’età più forte c’è una cifra psichedelica che nei dischi precedenti mancava. Stai spostando in questa direzione la tua ricerca musicale?

A.G.: Sì. Nell’ultimo periodo ho sentito molto il desiderio di liberare le mie canzoni dai tratti classici e asciutti, con cui avevo rivestito il mio esordio discografico, per riempirle con qualcosa che fosse molto più liquido, più vicino all’evocazione e al sogno. Quella psichedelica mi è sembrata una chiave possibile, perché vi rientra tutta una serie di ingredienti sonori che  prendono per mano l’ascoltatore e lo portano in paesaggi e atmosfere più rarefatti.

Con Caduto ho esplorato sonorità abbastanza classiche, da camera, quindi molto sobrie, mentre in Indossai ho dato sfogo alla mia passione per il mondo orchestrale. A un certo punto ho sentito l’esigenza di raccontare il mio background rock ed è arrivato Armi, che ho riempito di reminiscenze new wave, ma la voglia di scaldare le mie sonorità con qualcosa di più liquido, anche per stemperare il peso di certi testi, si è definita tutta in quest’ultimo disco. Mi riconosco molto ne L’età più forte, perché mi rappresenta in toto, come persona, come ascoltatore, come autore e musicista.

Mescalina: Ecco, venendo ai testi, in Satana, che apre il disco, esordisci subito con “Fotti il tuo dolore” e prosegui dicendo “Puoi spararmi sul viso, se lo vuoi”: immagini ed espressioni piuttosto forti, che però sono in netto contrasto con il tuo modo delicato di cantarle. Questa contraddizione espressiva è voluta?

A.G.: Sì, è voluta. Mi sono ispirato a certe pellicole degli anni ’70, in cui si vedono scene molto crude accompagnate da musiche dolcissime. Sono molto affascinato da questo tipo di contrasto, perché in realtà non potrei mai cantare parole forti con toni incazzati, non avrebbe senso per me, non mi riconoscerei.

Fin dall’inizio questo disco è stato un modo per raccontare il conflitto che si agita in ogni persona, quel continuo oscillare tra un lato più violento e uno più dolce. La sfida è stata, quindi, quella di provare ad usare parole forti e crude in un vestito che fosse assolutamente dream pop, per tentare di innescare un corto circuito.

Non è un caso che comincio proprio con Satana e con quelle parole. Cantarle in maniera aggressiva mi farebbe sentire una macchietta, invece questo modo un po’ a denti stretti esprime esattamente il senso del disco, con cui ho voluto raccontare anche il contrasto tra l’apparenza e la realtà, il fatto che alcune cose crudeli hanno sembianze molto dolci e altre apparentemente molto irruenti, alla fine non sono così violente come sembrano.

Mescalina: Sei padovano di origine e milanese di adozione, ma da un punto di vista musicale c’è un ambiente che senti particolarmente tuo e di cui non riesci a fare a meno?

A.G.: Mi trovo molto a mio agio con la musica strumentale e con quei progetti un po’ slegati dal mondo della canzone. Da ragazzo mi riconoscevo molto nella musica che allora veniva prodotta e scritta, negli inni e nei testi che si cantavano, in questo momento invece mi sento più un cane sciolto, lontano da ogni scena musicale. Non lo dico affatto con vanto, anzi mi dispiace.

Però ci sono dei musicisti, anche qui a Milano, con cui condivido delle passioni, delle ossessioni  e delle curiosità che si traducono poi in scelte testuali, di sonorità e di scrittura comuni. Condivido con loro tutto quello che è a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, ma resto comunque svincolato da appartenenze di genere, almeno in questo momento del mio percorso artistico.

Mescalina: Proprio negli anni ’70 Tony Palmer, noto critico musicale, disse che “più la gente compra un disco, più questo disco ha successo, non solo economico ma anche artistico”. Sei d’accordo con questa visione dell’arte musicale?

A.G.: Credo che Palmer dica la verità. Sai, son cresciuto sentendo sparare da colleghi e amici vagonate di merda su determinati progetti, ma poi questi progetti hanno tenuto botta, sono diventati fenomeni di costume, si sono istituzionalizzati completamente e alla fine sono diventati intoccabili. Non puoi non fare i conti con dei nomi che da un punto di vista artistico sono poco significativi, ma che hanno successo e per questo ottengono un notevole riconoscimento.  Anche la musica diventa arte in base a una certificazione. Pensa all’arte contemporanea: spesso è il feticcio della firma, del nome che conta e lo dico senza alcuna polemica, riscontro solo un dato di fatto.

Essere un artista deriva dal successo che hai, un successo che, è ovvio, ti puoi anche comprare se hai i soldi. Posso essere l’artista più bravo del mondo, ma se non ho l’opportunità di mostrare e di vendere la mia arte a un pubblico sempre più vasto, resto l’artista più bravo del mondo solo per me. Certo, c’è anche la possibilità che qualcuno a un certo punto ti rivaluti fino a collocarti nell’immaginario collettivo come artista, ma non vorrei nemmeno essere troppo romantico. Piaccia o no, il tuo successo certifica il tuo prodotto.

Mescalina: Ma oggi con la Rete hai possibilità di diffusione prima inimmaginabili.

A.G.: È vero, ma attenzione. Se apro Spotify, a meno che non sia abbonato al suo servizio di streaming, sento le pubblicità di tutti quei musicisti che hanno la possibilità di comprarsele.

Mescalina: Stai dicendo, quindi, non solo che ha successo chi ha gli strumenti per arrivare ovunque, ma anche che chi ha successo è riconosciuto come artista. A questo proposito e da musicista indipendente, come vedi l’entrata in scena di Filippo Sugar alla presidenza della Siae?

A.G.: Dopo il pasticciaccio di Gino Paoli, una successione rapida era necessaria. Non ho un’idea forte al riguardo e non conosco Filippo Sugar, ma mi sembra una classica storia italiana.

Cesare Basile ne sa sicuramente di più, chiedi a lui di darti una risposta (ndr. ride).

Mescalina: Con L’età più forte hai messo un punto: come ti aspetti la tua prossima “età”? Insomma, come ti vedi artisticamente fra dieci anni?

A.G.: In realtà non ci ho mai pensato, perché questi dieci anni trascorsi sono stati come un doppio piano quinquennale. Ho pensato più ad arrivare dove mi trovo ora. Non nego di aver nutrito delle aspettative, ma adesso me la sto vivendo in maniera diversa da come ho vissuto i momenti di questo mio decennale percorso artistico.

Sento il bisogno di non forzare più la mia vita, dopo aver provato a darle una forma… ora vorrei che mi parlassero di più le cose, la mia età (quest’anno compio 38 anni). Quella che mi aspetta è una fase che, nonostante mi spaventi, trovo preziosa perché, chiudendo un percorso con l’ultimo disco, mi sento pronto a ricominciare.

Se penso a quello che sarò tra 10 anni non so risponderti: voglio seguire il corso delle cose e in base a esse decidere di volta in volta chi sono, anche per un’esigenza di serenità che avverto sempre più urgente.

Quello che spero è di poter vivere continuando a fare le cose che amo fare, cercando di farle sempre meglio. Ho imparato che qualunque previsione ti fa correre il rischio della disillusione, quindi ho tutta l’intenzione di prendermi quello che viene così come accadrà.

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Si ringrazia Alessandro Grazian e Alessandro Ricci per l’ufficio stampa Big Time: pressoff@bigtimeweb.it

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