Terrence Malick I giorni del cielo
1978 » RECENSIONE | Storico | Drammatico
Con Brooke Adams, Richard Gere, Sam Shepard
24/10/2017 di Claudio Mariani
Secondo film dell’allora già affermato Malick. Qua le cose iniziano a cambiare, anche se poi bisognerà aspettare addirittura vent’anni per vedere come si evolverà la cifra stilistica del regista americano. Se con La rabbia giovane- Badlands si erano calcati i toni della ribellione innata insita nella gioventù contemporanea, qua il registro è diverso, ma non per questo distante. La storia raccontata è quella di Bill, un manovale che dopo un omicidio fortuito scappa, portandosi dietro la sorellina e la sua fidanzata Abby, che finge di essere a sua volta sorella di lui. E’ l’inizio di un viaggio che, sebbene lungo, si fermerà poi in una piantagione del Texas. Qui Abby si sposa con il ricco proprietario, per mero opportunismo del fratello. Le cose, prima idilliache nonostante la situazione precaria, iniziano poi ad incrinarsi.
Siamo nel 1916, un periodo particolarmente difficile da narrare per la cinematografia americana, più abituata a trattare il ‘700 e l’800 e il ‘900 dagli anni ’30 in poi, per cui Malick si muove in un terreno a tratti inesplorato e pericoloso, dove si dovrebbero insinuare paludi e creature selvagge…e invece no! Anche se in parte era accennata nel primo film, qua viene fuori invece tutta la poetica e la tecnica del regista: una poetica costituita da paesaggi, praterie, natura sì selvaggia ma rassicurante anche nella disgrazia, animali, piante, tutto in comunione quasi pacifica. Malick inizia a farci vedere delle immagini pazzesche, l’immensità, ma anche la cura maniacale del particolare, dell’ingrandimento, cosa che troveremo decenni dopo in the Tree of life. Immagini splendide che in parte scoprono uno spirito a suo modo visionario (la scena del seme che cresce ne è un esempio lampante).
E’ a tutti gli effetti un film sulla Frontiera con la F maiuscola, dove spicca la bravissima “diversamente bella” Brooke Adams, che avrebbe meritato una carriera più visibile.
Come per Badlands, anche in questo caso c’è la voce narrante, e in generale il film ha uno strano tono quasi scanzonato anche quando ci racconta di fatti drammatici, questa particolarissima sensazione di leggerezza sulle tragedie della vita, che si vedeva benissimo e forse di più nel primo film, e che non si rincontrerà più nella seconda parte della sua carriera.
La pellicola si aggiudicò l’importantissimo riconoscimento alla regia di Cannes 1979. Premio meritatissimo per un film, e sarà una caratteristica del modo di girare di Malick, che è molto personale e dove a tratti l’autore prevarica l’opera stessa, cosa che darà poi in parte fastidio ad alcuni.
Forse, anche a distanza di anni, rimangono più le immagini che la storia stessa. Comunque resta un tassello importante nella -particolarissima e insolita- evoluzione artistica di Malick.